Carola Susani / Eravamo bambini abbastanza
Infilare le mani nel tessuto intricato della preadolescenza è un compito sempre ingrato: bisogna sapersi svestire di tutte le sovrastrutture di cui si è caricati durante il percorso di crescita che arriva, prima o poi per tutti, a offuscare la speciale visione prismatica dell’essere bambini. Carola Susani ci ha provato col suo Eravamo bambini abbastanza (MinimumFax, 2012) – storia forte e non priva di rischi e trappole, dentro le quali, purtroppo, mi sembra essere caduta non di rado.
La sua è infatti una specie di parabola al contrario, un romanzo di formazione e deformazione, nel quale si snoda l’avventura di Manuel, che un giorno viene rapito nel parcheggio di un supermercato da un misterioso personaggio (di cui imparerà solo il nome, Raptor), per entrare a far parte di una strana comunità. Quella di un gruppo di bambini provenienti da zone diverse dell’est Europa – Leonid, Dragan, Catardzina, Tania, Alex e Ana – che sorprendentemente però hanno immediatamente imparato a vivere per strada, lontani dalle proprie famiglie, preferendo in qualche strano modo e per qualche strano, oscuro e carismatico motivo forse perfino a loro, quella vita raminga alla presenza sicura dei propri genitori. Ed è proprio qui che la trama complessa dentro la quale la Susani vuole portare il suo lettore comincia a sgretolarsi: nel voler convincere i testimoni di questo romanzo ad accettare, come hanno fatto i suoi personaggi, che una vita di elemosina e prostituzione sia la migliore delle vite possibili, la vicentina sembra dimenticarsi per la strada l’elemento cruciale del suo progetto. Ovverosia che la storia è raccontata proprio in prima persona da Manuel che – per ragioni sconosciute e quindi deboli – sembra ripetutamente lasciarsi alle spalle la visione sfaccettata, pura di cui non bisognerebbe dimenticarsi quando si raccontano certe storie, quando ci si infila in piccoli vestiti. Tutt’altro: il suo protagonista (e di conseguenza anche gli altri) soffrono metaforicamente di una freddezza che non gli appartiene.
Ecco l’elemento più penalizzante che rende Eravamo bambini abbastanza un romanzo la cui lettura viene continuamente accarezzata da un certo disturbo, una sorta di sensazione «di errore» che prende alle caviglie il lettore, il quale non riesce mai del tutto a scendere a compromessi con uno degli elementi fondanti della scrittura: il patto narrativo. A non molto valgono perciò i pochi e buoni elementi che invece si riscontrano nella scrittura della Susani: una prosa asciutta e scorrevole che ha il solo merito di togliere in fretta il lettore dall’impasse inevitabile dentro la quale, personalmente, mi sento di essere precipitata durante la lettura di questo libro.
Consigliato se si ha lo stomaco pronto a digerire qualche assurdità e a chi ha amato Il tempo materiale di Giorgio Vasta.
Gaia Tarini