Julio Ramón Ribeyro / I genietti della domenica
Come il cadavere di una settuagenaria rinvenuto in una fossa sette giorni dopo la sua morte avvenuta per strangolamento, o quel rospo la cui superficie è cresciuta a discapito del suo volume perché è stato spiaccicato dalle ruote di un’automobile, o come quella casa ad Avenida Arequipa, o come i due vecchi sull’autobus, uno con il naso simile a un grappolo di acini d’uva schiacciati e l’altro con il labbro inferiore imperdonabilmente calato, per sempre tumefatto, o come quel mendicante che un giorno aveva suonato alla porta di casa sua e prima ancora di chiedere l’elemosina si era tirato su la camicia mostrando il ventre piagato da un buco ulceroso tappato con un sughero. Così si sentiva Ludo camminando per le vie del centro o, conducendo penosamente quel corpo, come se si trattasse di un corpo in prestito.
È il 31 dicembre e Ludo Totem, ventidue anni, decide senza alcun motivo apparente di licenziarsi dal posto di lavoro. Da quel momento in poi la sua vita diventa una vorticosa perdita di tempo in cui, col suo amico Pirulo e una cerchia di ‘genietti’ sempre pronti ad inventarsi un modo per scappare dalle responsabilità, cerca di trovare un senso dentro e fuori di sé. Ma la vita a Lima sembra troppo scapestrata: gli sfugge di mano come fanno le molteplici donne che incontra in questo romanzo pubblicato da La Nuova Frontiera nel 2011.
Amante pallido e spesso rifiutato, infatti, Ludo passa da un letto all’altro, da un (falso) impiego all’altro e da un locale all’altro, fumando, sbevacchiando, progettando l’apertura di un giornale culturale, a cavallo di automobili costose, nei peggiori bar limegni, attaccando briga e osservando soprattutto la vita con uno sguardo tutto suo. In I genietti della domenica – titolo senz’altro ironico con cui Ribeyro «sfotte» impietosamente il suo antieroe e compagnia – si rivela tutta quella luminosa vitalità sudamericana che ricorda Márquez e il Vargas Llosa di La ragazza cattiva: la voce dell’autore sa farsi concitata e volteggiante e allo stesso tempo malinconica e feroce; strattona senza mai concedere al lettore un momento di stanca ed è proprio nel ritmo che questo romanzo si rivela grande, fino alla fine.
Consigliato agli amanti della letteratura sudamericana e a chi, non senza (auto)ironia, sa ancora sfidar la vita a singolar tenzone.
Gaia Tarini