Marc Dugain / Viale dei Giganti
Al momento di risalire in macchina, mi sono sentito male. Andarmene, tornare in casa, rimanere, tutto mi sembrava doloroso. Era dopo averla vista che cedevo più facilmente all’alcol, per ritrovare un briciolo di fiducia nell’esistenza. Non parlo di allegria, ma di quella sensazione di esistere che si manifestava in me con crudele intermittenza. La sensazione di essere stati abbandonati dalla vita mentre siamo ancora vivi è l’espressione della solitudine assoluta. Nessuno può capirlo né condividerlo. Compiere una distruzione paragonabile all’immensità di questo buco è il solo modo che abbiamo per sopportare questa messa al bando dalla vita, di aggrapparvisi tramite il più sottile dei fili. E una volta che l’irreparabile è stato commesso, ci si aspetta una cosa sola, immagino, ovvero che la società, attraverso i suoi rappresentanti, tagli quel filo.
Se «romanzare un personaggio vuol dire tradirlo per restituirne al meglio la sostanza» di questo tradimento Marc Dugain si è certamente macchiato durante la stesura di Viale dei giganti, ricostruzione edulcorata della vera di storia di Ed Kemper, omicida seriale di Santa Cruz colpevole di efferati delitti tra gli anni ’60 e ’70. Forse perché nella pagina Al Kenner (questo il nome dell’alterego del vero Kemper), per risultare accettabile, ha bisogno di rimanere protetto entro un ben preciso limite di pazzia.
È vero, comincia con lo sparare ai nonni paterni lo stesso giorno dell’assassinio di Kennedy, col fucile regalatogli proprio dal nonno per andare a caccia; ma la giustificazione è perfino blanda e la sua condotta talmente buona che dopo cinque anni di riformatorio riesce a guadagnarsi la libertà. Fin qui Dugain gli tende la mano, lo accompagna (e si lascia accompagnare) lungo un sentiero che privilegia l’aderenza, non dimenticandosi in maniera sublime di mettere in luce gli strani aspetti carismatici di Kemper/Kenner e della sua storia. Alto quasi due metri, infatti, incapace di provare empatia per le persone e con un quoziente intellettivo superiore a quello di Einstein, Kenner viene dunque «abitato» alla perfezione dal suo narratore, che gli presta così sapientemente la sua voce da farlo diventare un classico cattivo per cui si parteggia a tutti i costi, anche a quello di perdonargli certe barbarie.
Peccato che, leggendone la vera biografia (costellata, tra il ’72 e il ’73 di sempre più efferati omicidi di giovani autostoppiste e, tra l’altro, di quello di sua madre – decapitata, violentata e utilizzata come trofeo di freccette) la seconda parte del libro appaia decisamente sottotono. Da circa la metà in avanti, infatti, Viale dei giganti sembra quasi uno spettacolo di marionette che lasci intravedere i fili che muovono i personaggi. Improvvisamente ci si rende conto che Kenner e Dugain non sono la stessa persona e che anzi l’autore, nel tentativo (da me assolutamente incompreso) di far virare la storia verso un sentiero più battuto, si disperda negli intenti e nelle capacità. Forse per via delle aspettative con cui un lettore informato parte e partirebbe in ogni caso al momento dell’approccio a questo romanzo, forse per la morbosità insita in tutti noi di scavare nelle zone d’ombra che a volte sono troppo oscure perfino per chi decide di esplorarle; chissà.
Fatto è che la seconda metà di Viale dei giganti mi pare tradisca e vanifichi a tratti la prima, cambiando la verità dei fatti, aggiustando a misura la storia (indicativo il fatto che, del tutto arbitrariamente, Dugain fa diventare ad un tratto lo stesso Kenner un convinto complice della polizia – a mio avviso apice di assurdità).
Penetrare insomma nella mente di uno dei serial killer più spietati d’America – ma anche nella personalità di un uomo profondamente intelligente e consapevole del mondo – è stato evidentemente difficile anche per Dugain, che da un certo punto in poi ha preferito addolcire la sua storia dimenticando quel che della verità non poteva e non doveva essere tralasciato: la totale noncuranza del male anche quando quell’impulso di morte proviene da un disperato, antico bisogno d’amore.
Consigliato se non si ha paura dei tradimenti letterari a sfavore delle storie vere e a chi non abbia mai cercato su Wikipedia le parole chiave «Ed Kemper».
Gaia Tarini