Laboratorio Zanzara | Un’ora al giorno almeno bisogna essere felici
Il futuro è il giorno dopo.
«Mi darò dei vizi ammessi dalla legge» potrebbe senz’altro essere il vademecum perfetto, o una sorta di amuleto promemoria, come la voce di una lista sgualcita che si porta in tasca e che si dimentica di salvare prima di una lavatrice. A inventarlo è stato Antonino, che insieme ad altri ragazzi fa parte del Laboratorio Zanzara, un’officina creativa nel cuore di Torino che da anni rappresenta uno spazio espressivo e d’incontro, dove scrivere, pensare e disegnare.
Ho preso in mano Un’ora al giorno bisogna essere felici per la prima volta al Salone del Libro di quest’anno, a un biennio dalla sua pubblicazione. Questo libro – curato e stampato per conto di add Editore nel 2015 – è un vero e proprio “oggetto culturale”, il lasciapassare per un’avventura, un biglietto di sola andata per un paese delle meraviglie in formato 22×26.
A scriverne la prefazione è stato Fabio Geda, che del Laboratorio parla come di una “bottega dell’anima”: due parole fondamentali del nostro vocabolario sentimentale, senza le quali non esisterebbe la benzina per arrivare a fine giornata, sfilarsi gli occhiali per pulirli col bordo della camicia e dedicare del tempo a qualcosa che non sia soltanto mero quotidiano. Un’ora al giorno bisogna essere felici è innanzitutto l’imperativo che ci tiene in piedi, un patto simbolico con noi stessi che con lieve intransigenza ci ricorda lo spazio che devono avere le cose preziose nel caos che ci riguarda, in modi diversi e particolari.
“Ciascuno di noi esiste se gli altri lo guardano”, scrive Geda, che del Laboratorio parla come si parlerebbe della casa di un artigiano un po’ sui generis: colui che fabbrica il quotidiano. Un’ora al giorno bisogna essere felici è il prodotto finito e concreto di un’esperienza molto più ampia, una catena di montaggio fatta di persone che con capacità e sensibilità diverse hanno creato una specie di memento di carta, tutte insieme, per anni.
Fil rouge e baricentro sono quelli del disagio sociale, e soprattutto del modo che abbiamo – attraverso le strutture e le attività messe a nostra disposizione – per analizzarlo, capirlo e rispettarlo. Al Laboratorio si fa più che altro questo: ci si riunisce, ci si esprime, si crea e perché no, si vende pure. Tutto è regolato da una specie di orario, come in una sorta di centro estivo che non finisce mai: i ragazzi che lo frequentano, affiancati da persone con professionalità diverse ma sensibilità comuni, hanno trovato senza sforzo un compromesso tra quel disagio e il suo bisogno di esprimersi, in quel modo involontariamente geniale e prorompente che appartiene ai cosiddetti “diversi”, cui invece assomigliamo fin troppo. Il progetto raccoglie serigrafie per quasi centotrenta pagine, e resta una sorta di scatola a forma di libro, che è anche fucina di idee e di trovate sensazionali, sempre illuminate e illuminanti.
Questo libro è per un salotto improvvisato sorto al centro di un capannone, con mensole a forma di cassetto e divani colorati; per chi ama le polpette e vorrebbe non finissero mai. E per le cartoline che non scadono col tempo, fatte di righe vuote per indirizzi sempre nuovi, e che forse prima o poi avranno voglia di tornare a casa.
Voto: •••••