Paolo Nori / Si sente?
«Secondo me scrivere, forse, può esser poi quello, farsi crescere dentro la pancia una piccola macchina per lo stupore, e questa pratica, lo straniamento, vedere le cose come se le si vedesse per la prima volta, fare finta di non conoscerle, non è solo una strategia letteraria, è una cosa che succede anche nella vita di tutti i giorni. »
È il caratteristico «Si sente?» di Paolo Nori (Marcos y Marcos 2013) ad aprire i discorsi contenuti dentro al volume che ne riporta il titolo omonimo. Tre per la precisione – Esattamente il contrario, Noi la farem vendetta? e Birkenau – in cui l’autore parmense si cimenta, tra gli altri, col tema della memoria, grazie agli inviti che negli ultimi anni l’hanno portato a leggere in pubblico in un posto come Auschwitz.
Ma è quando si fruga dentro la propria coscienza dandole la capacità di vedere con occhi «vergini» certi luoghi e ricordi, che si può uscire dalla retorica trita e ritrita della mera commemorazione. Ed è proprio tramite questo passaggio chiave che Si sente? smette di esistere come raccolta di semplici dichiarazioni pubbliche, diventando un modo per riflettere – sulla Storia, sulle storie, sulla vita, sulle persone – anche attraverso gli strumenti dell’ironia, della risata, della riflessione agrodolce.
Dall’eugenetica al tema della vendetta, da Un borghese piccolo piccolo alle vicende di Reggio Emilia negli anni 1960 e 1970, dal racconto di esperienze collettive alle personali: questo piccolo volume non mancherà di rimescolare l’animo del lettore, aiutandolo a mettere in moto – in un contesto totalmente inaspettato – la propria personale macchina dello stupore.
Consigliato a chi non ha ancora perso il senso dell’ironia.
«Io ho pensato, a ripensare al Maestro e Margherita di Bulgakov, che nelle prime pagine c’è una signora che ha un chiosco di bevande al centro di Mosca e apre due succhi di albicocca e intorno si spande odore di parrucchiera, e io, da quando ho letto quella cosa lì, tutte le volte che sento odore di parrucchiera penso al Maestro e Margherita, e se non avessi letto Il Maestro e Margherita probabilmente non avrei mai riconosciuto, nella mia vita, l’odore di parrucchiera, o a ripensare alle poesie di Chlebnikov, e “Le ragazze, quelle che camminano con stivali di occhi neri, sui fiori del mio cuore”, o alle cose che ha scritto Charms, e “Io stimo solamente le giovani donne sane e formose. Per gli altri rappresentanti dell’umanità nutro diffidenza”, o alle opere di Learco Pignagnoli, filosofo emiliano, e a tutte le volte che mi è tornato in mente che “tranne me e te, il mondo è pieno di gente strana, e poi anche te sei un po’ strano”, a me mi è venuto da pensare che io, invece che dai vari governi pentapartito o monocolore che si dice si siano alternati alla guida del paese negli anni della mia adolescenza e della mia giovinezza, io, piuttosto che da loro, sono stato governato da Bulgakov, da Chlebnikov, da Charms, da Mandel’štam, da Blok, da Puškin, da Anna Achmatova, da Lev Tolstoj, da Gogol’, da Dostoevskij, da Venedikt Erofeev, da Iosif Brodskij, da Learco Pignagnoli, da Ivan Gončarov, e sono stato, a volte, per degli attimi, per dei giorni, per dei mesi, un suddito felice e riconoscente.»
Gaia Tarini