Parole per Antonio Tabucchi, a cura di Roberto Francavilla
A Scientifico,
che mi ha regalato un sogno,
essendosi appena affacciato al mio.
Tutto è incongruo, o meglio, tutto è occulto, come diceva Fernando Pessoa.
La vita in se stessa manca di formulazione narrativa, ripete un suo discepolo.
Non c’è logica, e non c’è storia che non sia plausibile, perché tutte le storie sono impossibili e implausibili. Sfruttano le infinite possibilità del reale e, se ci possono essere costanti universali, tuttavia le forme di esistenza individuale rimangono uniche nella loro irripetibilità.
Innamorarsi di un morto mai conosciuto può essere una delle tante aporie dell’esistenza.
Antonio Tabucchi non conobbe mai Fernando Pessoa, ma ne fece non solo l’epicentro dei suoi studi e del suo lavoro accademico, ma anche l’eterna voce, implicita o esplicita, dei suoi racconti. Ora che i loro corpi riposano a pochi metri di distanza a Dos Prazeres, su una collina di Lisbona, sorge il dubbio che la materialità – intesa come il toccarsi, il poter conoscere carne e ossa di una persona- sia solo una parte piccolissima del gioco, in cui ,alla fine, ciò che conta è il suo rovescio.
E’ per questo che Parole per Antonio Tabucchi a cura di Roberto Francavilla (Proteo, 2012), se lette con il giusto angolo prospettico o più semplicemente con quel misto di curiosità infantile e malcelata morbosità che uniscono il lettore irrimediabilmente alla vita dell’autore, sono piccoli, preziosi tasselli nell’eroico tentativo di conoscere non solo il Tabucchi scrittore, ma anche l’uomo Antonio.
Tuttavia quest’ultima dicotomia non è mai netta e geometrica, ma i confini delle due identità si confondono, si sfumano fino a fondersi nell’unità multiforme che è l’uomo in sé, di cui questo libro restituisce qualche leggera pennellata. Tabucchi scrittore, politico, amico popola queste pagine, raccontato attraverso i palpitanti ricordi di amici e colleghi. Si può sentire ancora una volta la sua voce che, come i suoi libri, ha qualche magica fascinazione.
Il sogno come liberazione, come riscatto da ciò che si è sempre voluto dire e non si è mai riusciti a pronunciare, come realizzazione pura delle emozioni, delle storie, dei gesti che sono rimasti intrappolati nella nostra carne, sordi ad ogni richiamo: questo ha voluto cantare lo scrittore. Il mio tram attraverso il Novecento, che è uno dei quattro inediti di Tabucchi presenti in questo volume, ha un’ultima, inequivoca fermata. Capolinea: diritto di sognare. Ben conscio che realtà e finzione camminano parallele fino a confondersi nelle linee dell’orizzonte, Tabucchi dalla lieve soglia del sogno non è mai voluto retrocedere, aspettando chi, come lui, si è perso nel rovescio dell’anima.
Matteo Demartis