Vito Bruno / La rinascita del pesce palla
Un aspirante scrittore ormai non più giovane, i trentotto romanzi scritti nel cassetto, nessun successo, una vita spericolata e sregolata, un’estate torrida e la decisione finale: porre fine alla propria esistenza di fallimenti, in barba alle correttrici di bozze diplomatiche e irraggiungibili.
La rinascita del pesce palla di Vito Bruno (Manni 2014) mi era stato segnalato come un libro degno di attenzione: io stessa nel leggerne il risvolto mi ero preparata ad un intermezzo spassoso che prometteva (almeno a parole in quarta) di diventare un classico estivo esilarante e geniale.
Questo esperimento però non è riuscito, perché il romanzo soffre dell’incapacità assoluta di creare empatia tra lettore e personaggio, un lamentoso e ridondante cinquantenne che vive e ragiona da ragazzino e oltre ad esporre in maniera ossessivo-compulsiva le sue molteplici manie di persecuzione, non riesce a fare molto altro. Terminare questo romanzo è stata una delle imprese più disperate di sempre, nell’eroico tentativo da parte mia di dare un’occasione tanto allo scrittore quanto al protagonista del suo libro. Ho fallito, dovendo anche considerare che, per quanto mi riguarda, l’eventuale speranza di cui si fa carico la parola «rinascita» contenuta nel titolo, è stata decisamente soppiantata da un sentimento di morte: di umorismo, di passione, di credibilità.
Gaia Tarini