Lorenzo Pini / A Lisbona con Antonio Tabucchi
Immanuel Kant rivoluzionò l’epistemologia presupponendo le forme a priori, fra le quali lo spazio e il tempo risultavano le fondamentali. L’esperienza umana deve infatti passare attraverso queste due categorie ed è conoscibile, continuerebbe con veemenza a sostenere il famoso cittadino di Königsberg, solo ciò che è nello spazio e nel tempo. Tutto il resto sfugge.
Tuttavia queste due forme non funzionano meccanicamente, come la ragion pura potrebbe fare ipotizzare, sono lenti, per seguire una famosa metafora epistemologica, offuscate. Si appannano proprio quando tutto sembra così chiaro.
Il tempo e lo spazio si rincorrono l’un l’altro, rendendo impossibile comprendere chi, alla fine, risulta determinante. Esistono spazi resi eterni della memoria, marchiati a fuoco negli occhi; altri che risaltano solo perché pallida imitazione di quest’ultimi. Quegli spazi non erano solo spazi, ma erano parte di noi, erano lande desolate dell’anima dove un giorno abbiamo trovato qualcosa. Quegli spazi non hanno fatto altro che dare forma ai nostri luoghi. E su tutto questo, sui luoghi della memoria e dell’animo, sugli spazi dimenticati e mai ritrovati, sulle musiche malinconiche o segrete di un’esistenza sempre in viaggio, governa implacabile il tempo, con una lancetta che trasforma,chiude e riapre le infinite porte della vita.
Così Antonio Tabucchi sbarca a Lisbona, appena più che ventenne, seguendo le parole di un poeta – Fernando Pessoa, allora praticamente sconosciuto in Europa- che si era sempre sentito cucito addosso, fino da quando aveva trovato le poesie di Alvaro de Campos -uno dei tanti eteronomi di Pessoa- in una bancarella di Parigi . A Lisbona conosce Maria José de Lancastre, la sua Zé, che lo accompagnerà con la sua mano e con la sua penna nella corsa verso Pessoa e verso la vita, sconosciuto il traguardo come quello di tutti.
Lisbona nel suo stato di finisterrae, città sospesa fra l’oceano e l’Europa, enigmatica nella sua eterogeneità, dal centro della città squadrato e geometrico fino alla pittoresca e orientale Alfama, è un posto che Tabucchi, una volta trovato, non abbandonerà più. Quasi Lisbona fosse un antico carillon d’infanzia, perduto nell’oceano del tempo, rinvenuto su un bagno asciuga in uno strano giorno di sole. Un luogo perciò non è mai lo spazio solido e tridimensionale -ingegneristicamente concepito- ma qualcosa di molto più cangiante e inafferrabile.
Questo è il punto di partenza di un altro viaggio, quello che Lorenzo Pini, con gli occhi dello scrittore di Vecchiano, cerca di compiere in una Lisbona che è già cambiata, ma, alla fine, mantiene invariato il mistero (nella fotografia di Francesco Demartis, uno scatto dall’interno di uno dei famosi elétricos della città, il 28). L’autore del libro ribadisce tramite queste pagine la necessità di uno sguardo intimo sullo spazio, in un’avventura che porti il viaggiatore dentro il luogo e non solo sopra il luogo: è questa l’ispirazione più vitale di questa guida sui generis. Lorenzo Pini, A Lisbona con Antonio Tabucchi, una guida (Giulio Perrone editore) insieme agli affascinanti bianco-neri di Guido Volpi che ne illustra il testo, tesse 5 percorsi che risalgono e attraversano, con le parole dell’autore toscano, la capitale lusitana. Cinque sono anche i testi- fra romanzi e racconti- che Pini sceglie per dare voce alla Lisbona di Antonio Tabucchi, tre dei quali fondamentali nel suo corpus autoriale: Sostiene Pereiera, libro che l’ha consacrato al grande pubblico; Il gioco del rovescio, più che un racconto forse una vera e propria dichiarazione di poetica; e Requiem, un’allucinazione, vagabondaggio onirico per una Lisbona che sembrerebbe schiudere, finalmente, il suo mistero.
I brani tratti dalle opere scandiscono, in un mosaico che a volte luccica e a volte è un po’ ombroso, i percorsi all’interno della capitale. I limiti che una guida turistica impongono al testo letterario sono molteplici e non sempre facili da conciliare: si ha infatti l’impressione che ogni tanto il testo strida con le necessità esplicative della guida e la reazione chimica fra letteratura e «guida Michelin» sia sull’orlo dell’esplosione. Tuttavia l’esperimento è coraggioso e, in qualche caso, magistralmente riuscito. L’entrata a Lisbona mentre l’io narrante del Gioco del rovescio corre sul Lusitania Express per la morte della sua amante o di quella che lui credeva tale, attraverso le campagne dell’Alentejo, fa sognare una lenta e meditabonda entrata a Lisbona in treno. Pereira risveglia il nostro torpore pomeridiano, e ci induce a seguirlo verso il quartiere Gracia attraverso il meriggio lisbonese, alla ricerca di quel ragazzo dallo strano sorriso che è Monteiro Rossi. L’incontro fra Tadeus e il protagonista di Requiem alla locanda di Casimiro fa sprofondare nei forti odori della cucina lusitana, facendoci immaginare una siesta dopo un micidiale sarrabulho.
La guida raggiunge il suo apice nella spiegazione paziente delle ricette e delle loro origini, nella descrizione dei volti e delle chiacchiere con la popolazione locale, nello svelare la presenza di angoli di Lisbona che rimarrebbero ignoti al distratto occhio del turista e alla sintetica asetticità di una guida come il giustamente celebre Touring Club. Più che una guida infatti, verrebbe da considerare questo libro come una propedeutica -umana e non scientifica- a Lisbona, che con le sue schegge di storia del paese e della città, di letteratura, di luoghi ed eventi offre i pezzi di puzzle che ognuno unirà a suo modo, nella propria ricerca, nel proprio viaggio dove gli spazi di Lisbona, inavvertitamente, trapassato il confine dell’iride, sono già diventati luoghi propri.
Matteo Demartis