Alberto Capitta / Alberi erranti e naufraghi
«In fondo erano animali feriti anche loro e quelle ferite non andavano mostrate a nessuno».
Giuliano Arca vive in un isolato casolare della Sardegna insieme al padre Piero, veterinario con un amore smodato per gli animali che soccorre strenuamente dando loro asilo come fossero esseri umani. La loro tranquillità viene turbata quando Michelangelo e Sebastiano Nonne, cacciatori dell’alta società, compiono un’assurda carneficina in casa loro. Piero scompare e Giuliano, con una sedia sulla schiena, si incammina per boschi e paesaggi sterminati in cerca di quel padre amato e perduto. La storia di queste due famiglie si intreccia con una terza, quella dei Branca: Maddalena, la figlia più piccola, sta per andare in sposa proprio a Michelangelo sotto gli occhi impotenti del padre che ha già intuito di che brutta pasta violenta sia fatto il futuro genero. Questi personaggi respirano nel romanzo di Alberto Capitta legati tra loro da sentimenti che la scrittura del suo autore sa condurre in maniera trascinante e insolitamente elegante.
Alberi erranti e naufraghi (Il Maestrale, 2013) è una storia di padri e di figli, di famiglie e di destini, in cui s’intrecciano motivazioni forti, figure e ambientazioni che non di rado sanno rasentare la magia. Un esercizio quasi troppo breve che sa regalare al lettore un universo selvaggio e al tempo stesso tremendamente umano, nel quale si ritrovano i temi cari alla letteratura sarda di oggi e di ieri.
Consigliato a chi, pur non avendo troppo tempo da dedicare alla lettura, non vuole rinunciare ad un libro raffinato.
Gaia Tarini