ANDREA DEI CASTALDI
LE PAROLE D’ORDINE

 

12×19 cm, 180 pp.
brossura cucita con bandelle
qzerty/qwerty, 29
ISBN 978-88-98462-57-5
13 euro

in uscita a fine mese

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1931. Nel cuore della campagna veneta il ragazzino Oreste viene sorpreso in acqua da un’esperienza straordinaria che lo renderà per sempre «un diverso», qualcuno «tirato fuori dal buio», ma che il buio «ha preso lo stesso».
1941. La Seconda guerra mondiale è scoppiata: ma «non è oggi che muoio» ripeterà Oreste impassibile, durante gli episodi più estremi della sua vita adulta, sul fronte d’Africa come in Italia.
1978. Il Paese sospira sotto il breve pontificato di papa Luciani, e Oreste si riunisce ai tre uomini che più hanno condiviso con lui il tempo della guerra: il cappellano Stefano, il capitano Domenico e il medico John, ciascuno con i propri segreti e tormenti.
E qui, ora, allora, si dipaneranno i fili del loro destino, intrecciati nel caos del conflitto mondiale, avvinti dalla possibilità di redenzione, ognuno impegnato a trovare, nella pace, le proprie parole d’ordine, il senso di un ritorno a casa già avvenuto ma a strappi ancora irreale.
«Aspetto i salici e ascolto il rumore che fa il silenzio, lì sotto dov’è il buio, dov’ero io, prima. Prima di adesso, prima di me», dice Oreste. E forse il ritorno, la pace dopo la guerra, è la preziosa possibilità di dire, forte: «Adesso».

Andrea Dei Castaldi Vive nel borgo trevigiano di Asolo. Ha pubblicato con Barta i romanzi  Finistère (2013), La cesura (2015) e Anime brevi (2021), nonché il racconto Pelle nel volume Solo (2017), a cura di Raffaella Tancredi.


«Il periodo in cui scrivevo la prima versione delle Parole d’ordine – ne sarebbero seguite altre due prima di riconoscervi la forma definitiva – fu per me tra i più difficili, perché coincise con la malattia di mio padre. Dopo lunghe giornate che mi lasciavano esausto, la sera tornavo alla scrittura come si torna a una casa, a un conforto. La sofferenza insensata a cui assistevo quotidianamente portava la guerra tra le pagine di questa storia, immaginavo il suo farsi nei tratti violenti di un’incisione espressionista. Mancavo però di equilibrio, come la mia scrittura fatta allora soltanto di buio. Quando mio padre se ne andò mi fu chiaro che non era la pace, ciò che avrei dovuto aspettare, e nemmeno un senso da dare a quello che era accaduto, perché vivere in fondo è sempre e soltanto un atto di fede. Scriverne avrebbe restituito luce ai miei giorni, e a questo romanzo».

 

«L’ordine è il piacere della ragione; ma il disordine è la delizia dell’immaginazione».
Paul Claudel

In copertina: elaborazione da Kôshirô Onchi, Caricatura nr. 1 (1947). Collezione privata.

Filippo Polenchi il 14 agosto 2024 su Nazione indiana (l’articolo si intitola Personal Jesus)

Terra, fuoco, legno, acqua (fluviale, se è di mare è di un mare extra, un Oceano), tempesta. Le myricae di Andrea Dei Castaldi scoppiano nel fragore orchestrale delle sue storie. Sono storie come gherigli di noci, dentro a gusci concavi – ma non vuoti – che descrivono il profilo del cielo, delle eclissi. Ci si perde a guardare dal basso verso l’alto, una forma di vertigine agorafobica – seppure nella misura contenuta delle narrazioni, misurate, classiche – che ti prende quando l’asse di rotazione del proprio corpo è disassato, ebbro. Ci sono segni, nel cielo, grandi transiti di carovane stellari. E poi c’è il mondo terrestre, dove, in maniera democratica dentro a tutto quello che potremmo chiamare l’allestimento della geografia, c’è un altro elemento, decisivo, che gioca la sua partita scissa, la sua lotta (senza però quella retorica sdrucciola dello struggle for life): l’umano.

«Il pensiero che sono scalcia più forte perché ora pensa il cielo».

Ci sono dèi e ci sono demoni: passano dal proprio regno a quello dell’altro, si mescolano, diffrangono la voce, il logos. Nel suo ultimo romanzo Le parole d’ordine (Barta, 2024) si legge «ognuno ha il suo dio personale». Un dio per ogni forma morale con la quale si vuol accompagnare un’esistenza, perché è ovvio che, hemingwayanamente, non abbiamo che la forma morale a condurci. Del Dio maiuscolo: le vociferazioni lontane, ecolalia.

Il demone moltiplica gli spazi di visione, le voci. Il demone parla in una camera ecoica, non si riesce a capire bene da dove proviene la voce. La moltiplicazione dei punti di vista – che è una cifra formale di Dei Castaldi, fin dal suo esordio nel 2013 con Finisterre (Barta) – non produce una sommatoria comprensiva, la soluzione sul piano dell’enigmistica del dramma. L’ampliamento delle voci, in qualche modo, svia, conduce altrove, lascia intendere più che esprimersi con chiarezza. Perché se Dei Castaldi scrive ogni volta una inchiesta mascherata da dramma classico è proprio perché il dramma stesso è, spesso, un romanzo greco e perché la detection che si deve fare (le ragioni di una scomparsa, un piccolo equivoco cimiteriale, cito in ordine sparso tra i romanzi Finisterre, La cesura e Anime brevi) è perché la si è fatta in illo tempore, accade qui e ora perché è accaduta nell’Edipo Re del V secolo a.C.

La forma morale di questa narrativa attraversa la Grecia classica. Ce n’eravamo accorti dieci anni fa, quando in Finisterre faceva la sua apparizione una scena-limite, una svolta nell’intreccio, certo, ma una rivelazione di quelle capaci di cambiare la direzione della storia – e anche in quel caso si era incerti, la parola non poteva essere definitiva, si era nel forse. Lo capivamo anche nella Cesura (2015, Barta): la coabitazione di spoglie diverse è sacrilegio, è sacer appunto, qualcosa che deve rimanere ‘separato’ dalla comunità: e da lì cominciavano le ipotesi, le investigazioni…

Anche in quest’ultimo romanzo le ‘fonti’, per così dire, non potrebbero essere più chiare. La vicenda del libro è molto semplice: nel 1978 Olga, la nipote di Oreste Casaro, un veterano della guerra d’Africa (1941), assediato dalle tragedie dell’esistenza ma inspiegabilmente sempre sorridente, chiama a raccolta alcuni vecchi commilitoni e ‘compagni’ dell’esperienza bellica perché 1) lo zio sta morendo 2) lo zio riceverà una tardiva medaglia al valore. L’assemblea dei testimoni – e dei curatori della memoria – è composta da: Domenico Buzzati (ex giornalista ed ex fascista), Stefano Casadei (nomen-omen: è un prete spretato), John William Abbott (medico inglese della prigionia). Ogni capitolo è affidato a una voce, ogni voce – eccezion fatta per ovvie ragioni per Olga – può spostarsi liberamente a parlare di un periodo compreso appunto fra il 1931 e il ’78. Veglia e incornicia il contrappunto dell’intreccio l’elezione al soglio pontificio di Albino Luciani, che vive e muore nel tempo di questa storia.

Guerra e ritorno a casa. A me pare ovvio che Dei Castaldi, qui, abbia voluto assemblare Iliade (la Libia al posto di Troia, l’assedio, la fuga, i diavoli ubriachi dei soldati scatenati, le mutilazioni, la sofferenza) e Odissea (il nostos dei tre amici intorno al corpo limitare di Oreste). Tuttavia a questa Eneide manca una figura di sintesi, un eroe, Enea giustappunto, perché a presentarsi fin dalla prima scena è semmai un puer, un bambino che «ha dodici anni» e, all’inizio del libro, sembra che li avrà anche domani, che ne avrà dodici per sempre, una figura cristologica che, crescendo, colmerà la distanza fra terra e cielo chiamando a sé, anzitutto sul proprio corpo, il patimento universale del corpo. Oreste (nome da tragedia greca, naturalmente) è una figura di sintesi, certo, ma biblica.

E in fondo il mondo di Dei Castaldi è questo: la drammaturgia attica e l’immaginario biblico: un deserto, il fuoco, la rivelazione, l’innesco di un personaggio catartico. Il mondo di Dei Castaldi, anche per la vocazione alla polifonia e alla struttura che si fa essa stessa storia, è quello di Faulkner. Un mondo pre-contemporaneo, verrebbe da dire, un mondo semplicemente moderno.

Nel 1979 esce La cultura del narcisismo di Christopher Lasch: l’autore americano radiografa la società statunitense all’alba di Reagan, del postfordismo, dell’insistente – e oggi è la quotidianità – guerra di tutti contro tutti. In modo folgorante, nell’introduzione, Lasch scolpisce una formula per determinare la genesi dell’uomo narcisista, il quale «è perseguitato dall’ansia, non dalla colpa». L’ansia di non piacere agli altri, di non essere apprezzati, di non essere amati, di non essere riconosciuti, di non coincidere con l’immagine (grandiosa) che abbiamo di noi, l’ansia di fallire, la performance continua tra vincitori e perdenti: tutto nasce dallo sgretolamento comunitario delle fondamenta tradizionali (per Lasch).

Le parole d’ordine si svolgono nel 1978, un anno prima della Cultura del narcisismo. Nel mondo di questo romanzo – e della narrativa di Dei Castaldi – la colpa, invece, è ancora viva, operante, perché l’autore non vuol raccontare il come siamo, ma il come eravamo, perché solo nell’effetto distanziante della memoria si ha la possibilità di dire qualcosa; lo scriveva anche Giorgio Agamben: per essere davvero contemporanei bisogna posizionare fuori dal tempo.

Le parole d’ordine rivela in maniera più pura – per chi ha letto l’intera opera di Dei Castaldi – il gheriglio tanto duro quanto il guscio che lo contiene e ben poco conciliante: è un nucleo abramitico, remoto, dove la terra e il fuoco parlano agli umani, dove morire è un rito di passaggio. Si respira davvero la graniglia tossica del deserto africano, non come effetto scenografico, ma come impasto delle parole. La storia prima delle storie di Andrea Dei Castaldi viene da queste piane aride, è oltranzista anche nella sua scelta di fare un romanzo faulkneriano oggi, di farlo da sempre e per sempre, perché non è tanto la fede nella parola letteraria, quanto l’impossibilità di fare altrimenti. E come nelle profezie, come negli antichi salmi, nella distorsione della Fata Morgana la parola vacilla, il pensiero di obnubila, la voce trema e diventa un periodare lungo, semi-ipotattico, interminabile.


Agata Motta il 27 luglio 2024 su Script & books

Codici per accedere al presente e a ciò che siamo stati, per individuare nel proprio personalissimo archivio emotivo quei momenti, esplosi come bengala in cieli oscuri, atti a condizionare lo svolgimento della vita: sono queste Le parole d’ordine di Andrea Dei Castaldi, intrigante e riservato autore che pubblica il suo quarto romanzo sempre per Barta edizioni.

Come il precedente Anime brevi, che nasceva durante una lunga parentesi sudamericana, anche quest’ultimo romanzo si colloca dentro un’esperienza personale destinata a lasciare impronte profonde: la malattia e la morte del padre vissute dapprima come guerra e sofferenza e infine come atto di fede nei confronti della vita e dei suoi immancabili orizzonti di luce. Non siamo di fronte a romanzi autobiografici ma a lavori che sgorgano da circostanze forti che scuotono e costringono allo spossante abbandono ad una scrittura risarcitoria.

Oreste, Stefano, Domenico e John si ritrovano dopo trentasette anni. Sono stati convocati e riuniti dalla giovane Olga, nipote del primo. L’occasione è quella della consegna di una medaglia al valore per l’eroico coraggio dimostrato durante la campagna d’Africa allo zio Oreste, ormai molto fiaccato dalle malattie. Medaglia che giunge, per affanni burocratici, dopo tanto di quel tempo e di quegli accadimenti, compresa la militanza di Oreste nelle truppe partigiane, da non avere più senso per chi dovrebbe riceverla. E infatti il destinatario vi rinuncerà ma il ritrovarsi dei quattro uomini sarà, in modi diversi per ciascuno di loro, un’opportunità che potrebbe trasformarsi in atto catartico. Ad accomunarli, infatti, è la tragica esperienza bellica e il casuale intreccio delle loro esistenze in condizioni estreme. A ben guardare, anche questi personaggi sono “anime brevi” nella maniera intesa da Dei Castaldi, cioè esseri umani sopravvissuti dopo la perdita della parte più preziosa di sé, che sia essa un mancato amore giovanile, un pezzo del proprio corpo martoriato, la fede che vacilla di fronte all’insensatezza della guerra o il senso dell’onore militare e del dovere nei confronti della patria poco importa. Vivere comporta anche questo, lasciare lungo il tragitto parti di sé e proseguire il cammino, ma senza fuggire da se stessi, senza mai rinnegare un passato che tanto riemergerebbe comunque, violento e doloroso, anche a distanza di molto tempo.

Tra tutti Oreste è il personaggio più enigmatico, chiuso nel proprio buio dal momento in cui, ancora bambino, per salvare il fratello minore dall’annegamento, si ritrova a tu per tu con la morte. Continuerà a camminarle accanto senza temerla, pur incontrandola e respirandone il fiato più e più volte nel corso della vita. Non si farà donare il cavallo più veloce che c’è come il soldato di Roberto Vecchioni, Oreste sa di non poter sfuggire alla propria Samarcanda, sa che quando la nera signora vorrà prenderlo con sé non potrà fare altro che abbandonarsi ad essa. Come nelle tragedie greche il Fato non è eludibile. Di Oreste sapremo sempre poco e quel buio, vivificato da un’incrollabile attaccamento alla vita, resterà fitto e conturbante, ma lui è il perno intorno al quale l’autore ricostruisce i ricordi di tutti gli altri – un medico inglese, un giovane cappellano, un capitano – che in simmetrica alternanza, con una precisa scelta nell’impianto narrativo, consegnano al lettore le loro vicende legate ad un contesto bellico, e qui sentiamo gli echi di altre canzoni, come La guerra di Piero di De Andrè, o di altra letteratura, come Remarque e Ungaretti, per il quale si fatica a trovare una qualsiasi logica o uno straccio di giustificazione.

Il presente, non più vicinissimo, della storia è il 1978, anno preso in prestito per immettervi le vicende altrettanto enigmatiche e insolute del brevissimo pontificato di Albino Luciani.

L’autore inserisce in tal modo un nucleo narrativo di grande impatto speculativo apparentemente divergente rispetto al filo conduttore, ma in piena sintonia con la crisi spirituale dell’ex cappellano Stefano Casadei e, più in generale, di una parte del mondo cattolico che in quel momento storico non si identificava più con i vertici ecclesiastici. Stefano incontra Fausto, un compagno di seminario poi perso di vista divenuto insegnante di storia e filosofia, dedito alla stesura di un saggio, intitolato Le origini del male, in cui identifica l’Anticristo nella Chiesa di Roma, colpevole di avere agito nel corso della storia contro l’affermazione dell’autentico messaggio cristiano di cui Gesù era stato portatore. Fausto confessa all’amico di essere rimasto in contatto con Albino Luciani, definito “il loro comune amico” e di aver ricevuto persino una telefonata dopo l’elezione al pontificato in cui si dichiarava “agnello in mezzo ai lupi”. In Fausto, insomma, si era accesa la speranza di un cambiamento epocale in seno alla Chiesa, qualcosa di rivoluzionario che avrebbe potuto riportare il baraccone al messaggio originale di Cristo, teoria riconducibile a certe eresie medievali sradicate violentemente dal potere ufficiale. Ma la Storia, come sappiamo, ha seguito un percorso diverso e l’alone di dubbio che ha avvolto l’improvvisa e inaspettata morte del pontefice non si è mai dissipato del tutto. I capitoli del romanzo dedicati a Luciani accendono nuovamente i riflettori su una figura marginale perché incompiuta in questi delicati anni in cui il pontificato di Francesco suscita sconcerto in certe frange tradizionaliste della Chiesa.

Ritrovare il proprio ordine interiore non sarà facile per i quattro personaggi, ma ognuno muoverà i propri incerti passi incontro al nuovo, fortificato dal recupero di eventi rimossi o accantonati. Per alcuni i passi si muoveranno a ritroso per riannodare fili separati dalla sorte, per altri sarà la fine di un sogno di rinnovamento spirituale o il ritorno al gorgo oscuro delle origini.

Al di là della trama e dei suoi tanti accattivanti snodi, è un piacere ritrovare il linguaggio ricercato di Dei Castaldi, le parole centellinate e scelte con cura, avvertire la meditazione su una scrittura che non scivola via veloce e distratta ma che si spende generosamente alla ricerca del periodo giusto ed esatto.

Una lettura intensa che può giovare a quanti annaspano tra un passato irrisolto ma non modificabile e un futuro denso di incognite allettanti, una presa d’atto della lotta incessante tra il Bene e il Male in una partita da sempre in corso e mai conclusa.


Intervista con Livio Partiti il 6 lugio 2024 su Il posto delle parole


Morena Di Giulio il 27 giugno 2024 su The Book Advisor.

Nel nuovo romanzo di Andrea Dei Castaldi, autore dalla penna delicata e mai banale, emergono le diverse sfaccettature della fede, intrecciando la dimensione religiosa, affettiva e politica. Il protagonista è Oreste, il cui destino s’intreccia con quello degli altri personaggi attraverso salti temporali tra passato e presente.

L’infanzia di Oreste è segnata da un evento tragico che cambierà per sempre il suo modo di affrontare la vita e le sue sfide più difficili. Questo episodio diventa il fulcro attorno al quale ruotano le storie degli altri protagonisti del romanzo. E poi arriva Olga, nipote di Oreste, che accompagna il lettore in un cerchio che comprende Stefano, il cappellano militare, il dottor Abbott, medico durante la guerra, e Nico, il capitano Domenico Buzzati. Questi personaggi si riuniscono in un momento speciale dell’esistenza di Oreste e che rivela gli episodi vissuti durante il secondo conflitto mondiale, mettendo in luce l’importanza di gesti semplici di umanità e coraggio in tempi così difficili.

Il romanzo è impreziosito da numerosi flashback che immergono il lettore nell’assurdità della guerra, ma anche nella dolcezza della gentilezza, nella poesia delle piccole cose che sono squisitamente umane e nell’importanza degli affetti familiari lasciati a casa.

Nel caos dell’esistenza è importante saper fare gesti gentili. In un contesto dove i sogni e le speranze mutano, il romanzo celebra chi ha saputo mantenere viva la fede umana e il coraggio, offrendo un ritratto intimo di personaggi che affrontano le loro prove con dignità e gentilezza.

Andrea Dei Castaldi dipinge un quadro delicato e profondo che merita di essere letto con attenzione, per cogliere ogni sfumatura e significato nascosto. Invita il lettore a immergersi nelle vite intrecciate di questi personaggi, scoprendo come la fede possa essere una guida anche nei momenti più bui e dolorosi della storia umana.

San Giuliano Terme ordini@barta.it
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