Annie Ernaux / Il posto
«Nello scrivere, una via stretta tra la riabilitazione di un modo di vivere considerato come inferiore e la denuncia dell’alienazione che l’accompagna. Poiché quella maniera di vivere era la nostra, persino felice, ma anche umiliata dalle barriere della nostra condizione (consapevolezza che “da noi non è abbastanza come si deve”), vorrei dirne allo stesso tempo la felicità e l’alienazione. E invece, impressione di volteggiare da una sponda all’altra di questa contraddizione.»
Mi colpì molto scoprire che Il posto di Annie Ernaux fosse un romanzo letto e studiato come libro di testo in diversi licei francesi. Pensai che fosse meraviglioso dare l’opportunità ad un’opera davvero contemporanea (pubblicato da Gallimard nel 1982 e in Italia, per la prima volta dal 2014, grazie all’Orma Editore) di essere considerata alla stregua di tanti altri classici francesi, di tanti altri autori più conosciuti. Più confortante ancora ho trovato, in questa raccolta fulminea di memorie, la conferma (piena di valore soprattutto per me) dell’urgenza e dell’utilità del racconto di una vita (quella di un padre, in questo caso), nella sua estrema semplicità, nella sua innocente urgenza. Un romanzo in cui la morte del padre è l’occasione per scoprire l’uomo, per ripercorrerne l’avventura nel mondo – dai giorni come stalliere a quelli da operaio scampato alla guerra, fino alla carriera di commerciante, in lotta continua tra il bisogno di non dimenticare le proprie origini e il desiderio di far parte di un universo nuovo, estraneo, non sempre convincente o confortevole. La Ernaux ha scritto, in forma autobiografica, la memoria asciutta e razionale di una donna che è insieme figlia, scrittrice, insegnante, madre. Il posto è la fotografia di un ricordo che tenta di intrappolare la memoria di un affetto, il ritratto di un padre e di una vita come tante, per questo unica – e perciò pienamente meritevole di essere raccontata.
Consigliato ad ogni scrittore che s’interroghi sulla fragilità di una trama.
Gaia Tarini
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