Enrico Panunzio / I signori scaduti
«Teresa Calò si era isolata in un canto della veranda. Oltre il terrazzo fiorito di gerani, il tetto argilloso dello stabilimento balneare, si stendeva il mare velato della cenere di un crepuscolo piovoso. La costa bassa, segnata dalla breve linea ghiaiosa del clivio, chiudeva la distesa d’acqua con un braccio di terra dove gli ulivi assembrati lasciavano una macchia grigiastra; più in là, i torrioni del Municipio mettevano contro l’assalto delle onde un debole riparo. Teresa conosceva ogni minima piega di quel paesaggio ma, ritrovando adesso dietro i finestroni imperlati dalla luce smorta il mare che traspariva oltre il sonno delle scogliere a fior d’acqua, si sentiva presa dal desiderio di uscir fuori da un mondo concluso.»
Non esiste un romanzo che, classici esclusi, racconti meglio di I signori scaduti (La Lepre Edizioni, 2013) la malinconia della fine di un’epoca, quel «mondo concluso» e decadente che è il centro motore di questo libro. Il suo autore, Enrico Panunzio, chiama a testimone la Puglia selvaggia nel momento dell’arrivo degli alleati inglesi in Italia, avvenimento che in qualche modo sancisce in maniera definitiva il tramonto di una classe di aristocratici in declino.
«Gli Spada, gli Jatta, i Cenci, i Fenicia, che hanno terre e dolori, ma nessuno gli vuole bene»: sono loro gli ultimi baluardi di un mondo antico a cavallo tra presente e passato, che in questo romanzo hanno un’occasione, l’ultima, di dare voce alle proprie malinconie. Panunzio penetra nelle loro disfatte e disperate psicologie, costringendo il lettore a quelle amare e meravigliose tristezze già del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
Con una prosa degna di Gesualdo Bufalino, I signori scaduti è un romanzo contemporaneo perfettamente in grado di riproporre la narrazione del passato senza farne sentire il peso o la distanza. Un libro ingiustamente ignorato e fortunatamente riscoperto, difficile da dimenticare.
Consigliato agli amanti dei classici.
Gaia Tarini