Jenny Offill / Sembrava una felicità
«L’evoluzione ci ha programmati per gridare di dolore quando veniamo abbandonati. Per fare più rumore possibile, così che la tribù torni indietro a cercarci.»
Ad un certo punto, leggendo Sembrava una felicità, ho avvertito chiaramente il rumore del mio cuore che si spezzava. Precisamente a pagina 86 quando, con totale noncuranza, questo libro si rivela nettamente per ciò che è: un romanzo sublime e fulmineo che parla di un abbandono, con quell’autismo meraviglioso che è di tutti coloro che soffrono. Jenny Offill, finalista al Folio Prize, non ha neppure bisogno di dare un nome alla voce narrante – una giovane insegnante che ha avuto il sogno, nella vita, di diventare una grande scrittrice e che invece riesce solo a correggere compiti, tentando al contempo di crescere quella figlia problematica che ama alla follia. Non ne ha bisogno per spiegare il senso, la mole del suo amore, verso la bambina e verso il marito bello ed educato, che finisce però per lasciarla per una «più facile». Ciò che tiene insieme questo romanzo, ciò che lega i suoi scorci asciutti e lirici, è un’energia in crescendo che lo rende simile ad una sinfonia. Sembrava una felicità è un canto di solitudine, un inno alla malinconia ma anche il richiamo di una donna che cerca disperatamente una via di fuga, una raccolta di appunti intervallati da aneddoti scientifici e letterari che ritrovano la loro dimensione umana e quotidiana; l’esposizione fragorosa, eppure discreta, di un dolore tanto forte da sembrare già guarito. Meraviglioso esordio per quelli di Enne Enne Editore, nuovissima casa editrice milanese, che con quest’uscita hanno davvero fatto centro.
Consigliato a tutti quelli che sanno cos’è la fine di un amore.
Gaia Tarini
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