Jón Kalman Stefánsson / I pesci non hanno gambe
«L’istruzione, sì, i vecchi amici a Reykjavík erano già a metà delle superiori, ma che ce ne facevamo noi dell’istruzione, se non sapevamo nemmeno che scopo avesse la vita, come avremmo potuto giovare al mondo, per quale motivo alcune persone a noi care erano morte se noi continuavamo a vivere senza avere nessun fuoco nel petto, uno scopo ben definito, ma semplicemente perché non eravamo morti? Non dovevamo essere nati in questo mondo guastato, violento e bello per cercare di migliorarlo come potevamo? A noi sembrava di sì, in qualche modo, anche se non lo capivamo appieno, e perciò avevamo vissuto in una specie di esitazione, nell’attimo prima del salto».
Dopo una vita coniugale perfetta e una discreta carriera come poeta, Ari molla tutto e decide di tornare a Keflavík, in Islanda. Ad aspettarlo c’è il vecchio amico d’infanzia (e voce narrante della storia) che ha visto accadere sotto i suoi occhi i miracoli intensi dell’ispirazione e della sua vocazione alla scrittura, ma che è anche e soprattutto stato il compagno con cui superare un’adolescenza povera di speranze.
Lì, in quell’angolo oscuro di mondo dove i punti cardinali sono montati al contrario, questi due affascinanti e malinconici personaggi ritrovano un pezzo del loro passato, ma anche le storie piene di magia dei loro antenati, della nonna di Ari, soprattutto, che, dopo un viaggio di otto anni in Canada, è tornata per sposare Oddur, con cui poi ha fatto tanti bambini. Queste storie sanno fondersi con incantevole semplicità, in quel clima nordico così lontano che ci affascina con la sua gelida tenerezza: gli abitanti di questo libro vivono ai margini del mondo, eppure di tanto in tanto hanno la capacità di scrollarsi di dosso tutta quell’apparente calma piatta con un gesto improvviso e appassionato.
La lingua di Jón Kalman Stefánsson è un canto magico e pieno di bellezza, inizialmente difficile da penetrare ma in grado di restituire al lettore che vorrà conoscerla una bella ricompensa, un sentimentalismo quasi fiabesco che sa evitare con talento i pericoli della retorica. I pesci non hanno gambe (Iperborea 2015) è una storia famigliare il cui seguito è già in scrittura, e che alterna un andamento ondulatorio a strappi di disorientante bellezza, in cui emerge una sensibilità nordeuropea sconosciuta e affascinante.
Consigliato agli estimatori della malinconia.
Gaia Tarini
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