Marco Bracci / The dark side of the Moon. Viaggio nell’identità dei Pink Floyd
Trasmissione Top Gear, Londra.
Una sera di dicembre del 1967, ospiti in studio: un nuovo gruppo, venuto dall’underground londinese, lanciato verso il successo internazionale, i Pink Floyd.
Roger Keith «Syd» Barrett, fondatore, sperimentatore, anima del gruppo, ha uno dei suoi tanti mancamenti, mentre la banda si esibisce, suonerà costantemente e senza interruzione la stessa nota per tutta la durata del programma.
C’è qualcuno nella sua testa, ma non è lui.
Syd Barrett è ormai entrato in una pazzia, risultato dell’incontro della propria labilità psichica con il potere distruttivo degli acidi, che sarà senza fine o che, forse, troverà la sua pace nel progressivo isolamento dal mondo. Il viso emaciato, scavato, la grande mascella, lo sguardo scuro e inquieto, la sua icona, oltre naturalmente al suo posto nella storia della musica, lo fanno entrare a pieno titolo nella bruciata fenomenologia della beat generation.
Il gruppo, fra i più famosi del XX secolo, esplode con la morte del suo fondatore e padre costituente. Appena tre mesi dopo quel dicembre, mentre i Pink Floyd si avviavano verso Southhampton decisero, quasi in modo naturale, di non passare a prenderlo, decretandone la sua esclusione definitiva dal gruppo. E’ questa la fine del primo atto della parabola tanto scintillante, quanto piena di cadute, lotte intestine, momenti di crisi, dei Pink Floyd, diamanti del rock psichedelico.
The dark side of the Moon. Viaggio nell’identità dei Pink Floyd di Marco Bracci (Aereostella) è un’interessante analisi – con un’impostazione sociologica anche nel trattare il tema più propriamente artistico della storia della banda- del macrofenomeno dei Pink Floyd, tramite quello che è stato definito da alcuni il disco perfetto, The dark side of the moon.
Marco Bracci non ama la letteratura (almeno da ciò che si deduce dal suo libro, poi nel buio della sua camera chissà…) e forse per questo manca di quel tatto di chi sa armeggiare con le storie come con musiche di delicato arcano. Se la letteratura è sinfonia, Bracci batte il roboante tamburo della sociologia.
L’analisi del gruppo nella diacronia del loro percorso è svolta con coerenza, ne sa ripercorrere gli albori, le luci e le ombre. L’identità come lenta costruzione di uno specchio che di noi e del mondo non restituisce mai univoche immagini, ma gli incerti contorni sfocati dell’esistenza è il tema o, per meglio dire, il concept di The dark side of the Moon. Il lato oscuro, ciò che non si vede, quel luminoso candore esterno che nasconde le urla dell’inferno delle domande mai sopite è, fin dal titolo, argomento che affascina Waters e il resto del gruppo. Il disco va ascoltato piano nel suo lento esplicarsi; tuttavia, se si sono osservati gli occhi di Syd, non si può non pensare che le sue pupille abbiano scorto per prime the il lato oscuro della Luna e che sia, perciò, vera ispirazione del gruppo e del suo disco più venduto.
E’ il personaggio, come Bracci mostra con piccoli ma significativi riferimenti, che agisce da prisma sulla creatività e la storia della banda, indirizzando e scomponendo in colori una luce che sarebbe rimasta altrimenti, forse, nel bianco dell’anonimato.
Gilmour, Mason, Waters e Wright hanno volato con il loro angelo nero dall’altra parte della Luna, consci del potere indicibile dell’oscurità. Certo, volare insieme nel Sole, come diamanti pazzi, è un’altra cosa.
Matteo Demartis