Milena Agus / Ali di babbo
Se noi chiamiamo albero un albero, subito pensiamo soltanto ai frutti, e questo è limitativo. Gli scrittori come me, dice zia, salvano le creature da questi limiti. Il poeta cerca le parole per ridare a quell’albero il senso perduto. […] Ho pensato che magari, da qualche parte sulla terra, c’era un ragazzo che cercava le parole per ridare quel senso all’albero, come me.
Si chiama Agnese ma tutti la chiamano madame, perché ha cominciato ad andare a lezione di francese e forse un giorno prenderà un aereo per Parigi. Nel frattempo corre su e giù dagli scogli al suo alberghetto sul mare, che non vuole vendere e per cui è disposta a sacrificare anche il proprio corpo, contro quegli ottusi costruttori edili che non fanno parte di un mondo poi tanto immaginato. E, come tante altre donne, cerca solo disperatamente di farsi amare intrecciando magie e piccoli riti quotidiani, cercando la sua fetta di felicità anche se certe volte anche la felicità ha un peso. E’ lei la protagonista di Ali di babbo (uscito per i tipi di Nottetempo), ma al solito Milena Agus consegna la narrazione ad una voce più giovane, capace di testimoniare a quella magia «senza la quale il mondo sarebbe solo spavento».
In Ali di babbo si ritrova il meraviglioso universo matriarcale di cui la Agus sa parlare in maniera tanto appassionata e raffinata, pieno di personaggi delicati e difficili da dimenticare, che vivono coraggiosamente la propria piccola e speciale missione nel mondo: jazzisti che suonano per le strade di Francia, adolescenti che credono di ritrovare il proprio padre nelle lenzuola che il vento alza di notte, giovani marinai che costruiscono zattere home-made.
Ali di babbo restituisce ai suoi lettori più affezionati quello che della Agus non si può dimenticare: la sua profondità sentimentale e la sua prosa poetica che sa spalancare – anche per coloro che non hanno mai vissuto sul serio certi posti – un mondo magico, marittimo e meraviglioso, quella Sardegna selvaggia e immacolata da cui è difficile non essere rapiti, come la prosa di questa grande scrittrice.
Madame ha molto a cuore la felicità della gente e crede nella magia; per ogni ospite dell’albergo fa i tarocchi per capire quello di cui ha bisogno e quindi darglielo, soltanto che le carte danno sempre risposte troppo difficili e allora lei si limita al significato dei numeri. Per esempio la tavola, se si tratta di coppie, la apparecchia con il numero quattordici, la Temperanza, l’unione tra due elementi separati, quattordici ravioli, quattordici dolci, quattordici mestolini di minestra. Se si tratta di donne sole, il Carro, sette dolci, sette ravioli più grandi, sette forchettate di pasta, perché il sette è l’amante che, se non c’è, con questa magia magari arriva. Spesso ci abbina il tre, l’Imperatrice, per esempio, a colazione, caffè latte e cioccolata, perché il tre è il numero dell’esplosione creativa e nelle storie fra amanti, l’amante donna permette all’uomo di vivere bene altrove il suo focolare e questa non è una cosa felicissima, ma è comunque meglio di niente. Il sei è preferibile, l’Innamorato anche se è innamorato che cerca di prendere tutto perché non sa scegliere. Ma se aggiungi un tre, per esempio tre posate, forchettine da dolce, cucchiaino per lo zucchero e per il caffè, allora diventa nove, e nove è l’Eremita, la solitudine, che anche se è illuminata, secondo madame è la peggior cosa, quindi bisogna assolutamente fermarsi a otto, la Giustizia, la Perfezione. Inoltre i bicchieri non devono rotolare sulla tavola, né rompersi, né si devono incrociare i coltelli. Sul diciassette, la Stella, madame è cauta. Significa generosità, altruismo, ma siamo così abituati al solito diciassette portasfortuna, che madame del diciassette preferisce non fidarsi. Molto meglio il diciannove, il Sole.
Gaia Tarini