Gianni Agostinelli / Perché non sono un sasso
«Le relazioni umane sono piene di gente che guarda nervosa l’orologio».
Alla veneranda età di trentasette anni, Matteo Gemma – una laurea in filosofia mai conseguita, lavori precari, relazioni poco edificanti – non trova di meglio che spendere il suo tempo pedinando gli altri. Cerca risposte (che non trova) nell’osservazione maniacale e vagamente morbosa delle persone, per non scorgere l’abisso che è invece dentro di lui. Finché non si imbatte in un bislacco anziano, il signor Alunni, che ha l’insospettabile talento di svegliarlo dal suo torpore. O quantomeno di provarci, costi quel che costi. In Perché non sono un sasso di Gianni Agostinelli (Del Vecchio Editore 2015) c’è tutta l’angoscia di una generazione moderna, la sublimazione di quella scandalosa e squallida giovinezza che non riesce a realizzarsi e che guarda al mondo con occhi ipercritici: un tema in assoluta ascesa che ha permesso a questo romanzo di arrivare finalista nientemeno che al Premio Calvino. In perfetto accordo con la giuria che lo ha ottimisticamente definito «abilissimo nel simulare originalmente un lessico scorretto», trovo necessario interrogarmi sulla qualità di una scrittura che ha pochi punti di forza, tra i quali spicca fortunatamente quello di non risultare prolissa. Una scrittura sostanzialmente scorretta, com’è assolutamente quella di Agostinelli, non è per me un valore aggiunto: per essere bravi e scorretti insieme ci vuole un talento che qui stenta a emergere. Anche perplessa su certi virate della trama forse scambiati per punti di forza, a malincuore bacchetto questo mio giovane conterraneo, sperando di vederlo in futuro alle prese con un’opera di maggior spessore.
Consigliato a chi si sveglia di cattivo umore la mattina.
Gaia Tarini
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