Antonella Moscati / Una casa
«Ce la stavamo mettendo tutta per diventare adulti, ma potevamo in ogni momento tornare bambini.»
Le case, da sempre, sono luoghi dell’anima che custodiscono ricordi. Lo sa bene Antonella Moscati, che in Una casa (nottetempo 2015) ha cercato di ripercorrere la sua infanzia perduta con una raccolta di memorie, nel tentativo tenerissimo di trattenere le rievocazioni di un passato che il tempo minaccia di portare via con sé. La tenuta di Faiano in provincia di Salerno dov’è stata bambina, diventa allora il palcoscenico perfetto su cui sfilano la figura ottocentesca del nonno o quelle opposte ma inseparabili delle zie che non hanno trovato marito, il passaggio delicato delle presenze cruciali o leggere che hanno abitato la campagna coi suoi odori di noci e di tabacco, dove i suoni hanno la capacità di ricostruire un trascorso che vuole sopravvivere a tutti i costi nel cuore di chi ha lasciato lì un po’ delle proprie radici. La Moscati, traduttrice e filosofa, scrive con sguardo morbido ma analitico di quei ricordi: avrei voluto vederla capitolare sotto il peso della nostalgia, sotto lo sbaffo emozionale che avrebbe reso Una casa un libro davvero a me vicino. Ma la sua scrittura resta asciutta e semplice, affida a quelle fotografie di ieri tutto il carico emotivo possibile. La dedica alle sorelle è un richiamo perché quell’epoca non venga dimenticata, e risveglia nel lettore il bisogno di ripercorrere dolcemente le abitazioni della propria vita.
Consigliato agli aspiranti nomadi.
Gaia Tarini
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