Charles Baxter / Vorrei che facessi una cosa per me
Bisognava percorrere al guado tutte quelle lacrime per raggiungere la riva opposta.
Per Charles Baxter l’umanità è un fenomeno strano, affascinante e sensazionale, da osservare con uno sguardo intriso di tenerezza e spietatezza, com’era già stato nel suo romanzo Festa d’amore. A differenza di quest’ultimo, Vorrei che facessi una cosa per me è una raccolta di racconti legati da un filo che talvolta s’interseca, percorsi da uno sguardo compassionevole e quasi religioso, in cui s’intervallano storie che portano il titolo dei peccati capitali. Che siano mariti abbandonati costretti a reggere il peso di altre famiglie e altri amori, o ragazze distrutte incapaci di corrispondere la devozione di chi le incontra per caso, quelli di Baxter sono personaggi che lottano per il “diritto a fantasticare” di cui parla l’autore, quella speranza – a volte tradita e a volte assecondata – che appartiene agli uomini, o più esattamente agli esseri umani, di cavarsela, di trovare una spiegazione logica ai naturali smottamenti della vita. Vorrei che facessi una cosa per me (Mattioli 1985, 2016) è una chiamata al sacrificio lì dove la sofferenza minaccia di prendere il sopravvento: nell’attesa della morte da parte di chi ha già visto legami affettivi crearsi e dissolversi; nella pretesa egoista di mettere al mondo dei figli che finiscono per tradire lo stesso atto d’amore con cui sono stati dati alla luce; nel biologico e definitivamente innocente diritto e dovere alla vita, nelle sue sfumature, a qualsiasi costo, che è quasi sempre, e più di tutto, un impulso. Leggere Baxter non è un’attività spensierata, ma di certo un invito alla riflessione, una sorta di specchio rivolto al lettore con cui osservarsi all’interno di una società che è più vicina di quanto non sembri. La sua forza è quella di rompere la distanza tra la letteratura e la realtà, incitandoci a compiere quello sforzo d’immaginazione, trasformandoci nelle scrittrici fallite che ascoltano ridere i figli innamorati dall’altra parte della stanza, o negli adolescenti incapaci di perdonare: tutto ciò che siamo stati, almeno una volta, senza scampo.
Questo libro è per chi se ne va senza il coraggio di sbattere la porta, per chi sa cosa significhi prendere treni nella direzione sbagliata e per tutti coloro che hanno bisogno di perdono.
Gaia Tarini
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Sono nata a Perugia nel 1989. Scrivo per la Colonna dal 2014, e nel 2011 ho fondato il blog di recensioni letterarie Le ciliegie parlano, insieme a Giorgia Fortunato.