Jamie Quatro / Voglio mostrarti di più
Quello che voglio io, dice la donna, è che tu mi faccia piangere, e che poi mi faccia smettere.
«Una volta sola nella vita: oh, quando mai ho desiderato qualcosa una sola volta nella vita?». Profetica e affatto casuale la citazione da Amy Hempel che apre l’antologia di racconti Voglio mostrarti di più di Jamie Quatro (Minimum Fax, 2016) : desiderare – e molto spesso non poter avere o non riuscire a farlo – sembra il problema principale dei suoi personaggi. La geografia umana che attraversa queste pagine soffre lo smacco di dover fare i conti con una religione a volte necessaria, a volte pedante, che costringe a far convivere sacro con profano con tutte le contraddizioni del caso. La Quatro è stata definita maestra di allegorie, e a ragione, perché le sue storie – in apparenza diverse ma legate da un minimo comune denominatore narrativo – prendono in prestito dal mondo dei simboli per restituire un’immagine compromessa, quasi delirante, di una realtà devastata alle fondamenta, sempre in conflitto col retaggio religioso che la imprigiona e finge soltanto di salvarla. In Signore e signori dell’asfalto – in cui si racconta di una strana maratona durante la quale i corridori sono costretti a competere portando strane statuette erotiche sulle spalle – emerge in maniera quasi disturbante l’andamento metaforico del racconto; in Voragine questo procedimento espressivo si sublima davvero, attraverso la figura di un ragazzino che ha bisogno a tutti i costi di riempire quel vuoto, che è lo stesso delle donne che tradiscono e sono costrette (ancora attraverso l’uso del simbolo) a contemplare il cadavere dell’amante che si decompone nello stesso letto che dividono col marito; che è lo stesso delle mogli che devono rispondere alla richiesta prematura di un uomo che chiede loro l’estrema unzione, che è lo stesso delle madri scomparse troppo presto, che devono scegliere tra la rabbia e l’amore. Che è lo stesso dei padri che portano i figli sul lago, cercando di liberarsi dai sogni di quelle mogli partite troppo presto. Ma è soprattutto nella cronaca moderna di un certo nostro modo di nasconderci – quello che, nei personaggi di Quatro, emerge attraverso il meccanismo dei cellulari nascosti, del sexting confusionario – che sale in superficie l’intima bellezza di tutte le loro ragioni; del loro bisogno sfrenato di assecondare i propri desideri, anche quando il loro costo diventa insopportabile.
No, fece lui. Salgo con te, e appena fuori dalla vista della moglie l’uomo mi cinse la vita con un braccio, sussurrò: Sei perfetta, mi prese per mano e mi trascinò di sopra dove avevo sistemato i bagagli appena dentro la porta; e quel che vorrei raccontarvi è che mi buttò sul materasso, ma la verità è che rimasi seduta rigida sul bordo del letto mentre lui firmava la stampa e me la riconsegnava. Tutte le cose che non posso dire, aveva scritto, e allora cominciò – non a toccarmi le guance, non a sfiorarle con delicatezza, ma a toccarmi le guance con il palmo delle mani, le mani piatte, come se volesse mettersi a pregare. Chiusi gli occhi. Dopo diciassette anni di matrimonio, pensai, qualcuno sta per – (…). Quello che dicevamo senza profferirlo: Ecco perché non può succedere – quello che avremmo continuato a ripetere durante tutti quei mesi che seguirono pieni di Solo un altro respiro prima che tu riattacchi, fammi sentire come dici il mio nome, il tuo nome, un nome qualsiasi, mi potresti per favore mandare una fotografia del tuo piede, seno, orecchio, qualsiasi parte di te purché sia tua; e quando avevo detto: Be’, ma ho le lentiggini, più questo strano neo trilobato appena sopra l’ombelico, lui aveva replicato (…) Ma sono le tue imperfezioni che mi voglio scopare.
I personaggi femminili di Jamie Quatro soffrono e vivono questo struggimento senza scampo, che fa desiderare loro di essere contaminate e allo stesso tempo le costringe a inorridire: scoprono la loro propria essenza tentando – a volte con goffaggine – di assecondare bisogni (di tradimento, di compromissione, di novità) che per troppo tempo non hanno neanche saputo di avere; e cercando allo stesso tempo di resistergli, costringendosi ad alimentare fuochi a distanza, proprio come succede a chiunque di noi, proprio com’è successo a chiunque di noi. E per questo, leggere questi racconti, è un’esperienza dolorosa ma indimenticabile.
Questo libro è per chi va a caccia di arcobaleni, per chi scrive messaggi di nascosto tirandosi le lenzuola sopra la testa e per chi gode mentre gli si sfiorano le sopracciglia.
Gaia Tarini
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Sono nata a Perugia nel 1989. Scrivo per la Colonna dal 2014, e nel 2011 ho fondato il blog di recensioni letterarie Le ciliegie parlano, insieme a Giorgia Fortunato.