Gipi / La terra dei figli
«Mancano a tutti sai».
«Cosa?»
«Il passato. I giorni prima della fine».
Due fratelli mandano avanti una barca sulle sponde di un fiume che li separa dalla realtà: si apre così La terra dei figli, il nuovo fumetto di Gipi, che con questa nuova uscita ci riporta al tratto vibrante, nervoso ed essenziale di La mia vita disegnata male, sempre edito per Coconino ormai quasi dieci anni fa. Il fiume (tema carissimo a Gipi, che ne ha frequentato le sponde dedicandogli un Diario, nel 2009) è il segno che determina il confine tra l’ignoto e il mondo di Lino e suo fratello, cresciuti da un padre ruvido e di poche parole che ogni sera si ritira a scrivere su un misterioso quaderno nero. La vita è agra per questa famiglia incompleta, che sopravvive scambiando pelli di cane con armi per pescare; è un girotondo autistico tra profezie e misteri, parole proibite e lunghi silenzi: provare sentimenti è vietato, in un’atmosfera che, senza mai dichiararlo, suggerisce una distopia forse incoraggiata dalla modernità. Gipi illustra con slancio l’ottusità del nostro tempo, la schiavitù insensata – vera o metaforica che sia – verso oggetti o pretesti qualsiasi: il terribile Dio Fiko, il ritorno alla terra come ultimo baluardo di ricchezza, l’esecuzione che attende chi sfugge a regole difficili da comprendere; non è affatto un futuro iper-tecnologico, quello illustrato, ma un ritorno ad una dimensione quasi primitiva dove gli uomini sono svalutati e miseri. Questa è tutta l’eredità che un padre può lasciare a quei figli che avranno il compito di confrontarsi con le contraddizioni e le bellezze di un presente apparentemente senza soluzioni. Il lirismo di Gipi, che non emerge soltanto nel tratto ma anche nella sceneggiatura (ormai magistrale) e nella scrittura (puntuale e spiazzante) è in quest’altalena temporale e contestuale, nell’illustrazione di un domani che è forse già oggi, e che è allo stesso tempo ieri; nell’imporre al lettore lo sforzo di decidere da sé da che parte stare della barricata. È, soprattutto, un fumetto che parla di speranza e che ci convince che non essere morti ha avuto un senso e può averlo ancora: cercare di imparare a leggere, per Lino e suo fratello, e scoprire le memorie di quel padre tagliato con l’accetta («I gatti, i cani, li ammazziamo. Li mangiamo. È giusto. Ma io, ora, con loro… Cosa dovrei fare? Dirgli che un tempo i cani stavano sui tappeti, accanto ai divani, in case calde e asciutte, e che invece di mangiarli gli facevamo le carezze») è la missione per evadere da un labirinto di illusioni e di certezze imperfette. La terra dei figli (Coconino, 2016) è di sicuro il fumetto più toccante che leggerete quest’anno, illustrato da un grande maestro che ha imparato a manipolarci il cuore senza diventare mai retorico, restituendoci la fotografia caleidoscopica di una realtà e di un futuro che adesso tocca a noi salvare.
Questo libro è per Fabio, Giorgia, e per tutte le persone a cui ho voluto bene. Per chi pronuncia qualche bugia a costo di trovare la propria verità, e per i regali fatti senza pensare, che non bisogna mai rimpiangere.
Gaia Tarini
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Sono nata a Perugia nel 1989. Scrivo per la Colonna dal 2014, e nel 2011 ho fondato il blog di recensioni letterarie Le ciliegie parlano, insieme a Giorgia Fortunato.