In fuga con la zia / Miriam Towes
Un’avventura on the road per partire alla ricerca di chi da troppo tempo ha fatto perdere le proprie tracce: è quella che affrontano Hattie e i suoi due strampalati nipoti adolescenti, Thebes e Logan, in fuga dal Canada verso il Messico. Lo fanno perché Min, sorella di Hattie, ha gettato i remi in barca e adesso sembra solo voler lasciarsi andare, dimenticandosi dei figli e dell’amata sorella, che l’ama senza riserve; lo fanno per rintracciare il padre di Thebes e Logan, che forse può ancora trovare il modo di salvare tutti loro dall’ombra di una donna capace di tirare giù con sé quelli che le vogliono bene, con l’egoismo e la tenerezza di chi soffre senza riuscire a vedere al di là dei propri guai. Hattie, soprattutto, lo fa per non pensare alla relazione interrotta che l’aspetta a Parigi, per dare una speranza a quei geniali e malinconici ragazzini sempre pieni di trovate brillanti, sempre sull’orlo del precipizio, che tanto le assomigliano. E perché c’è una domanda che la tormenta: qual è il modo migliore di amare qualcuno e di dimostrarglielo? Assecondarne l’autodistruzione o contrastarla con ogni mezzo? Il viaggio dei Troutmans, che si snoda lungo gli Stati Uniti a bordo di una malandata Ford Aerostar, è un pretesto per rispondere a questa dolorosa domanda, ed è un’occasione per Miriam Towes di rivelarsi ancora una volta per la grande scrittrice che è: geniale, frizzante, agrodolce e strampalata, capace di architettare trame fantastiche senza mai sconfinare nel melodrammatico. In fuga con la zia (Marcos Y Marcos, 2009) fa l’eco al grande I miei piccoli dispiaceri, che ha vinto prestigiosi e numerosi premi l’anno scorso: unica pecca del romanzo, infatti, è quella di assomigliare troppo a quella storia. L’amore familiare, in particolar modo quello che intercorre tra sorelle – sempre capaci di difendersi, di amarsi, di restare legate in spaventosi commoventi modi – sembra essere al centro di tutta la narrativa prodotta dalla Towes (penso anche ad un altro suo meraviglioso libro, Mi chiamo Irma Voth, pubblicato nel 2012), ed è un tipo di letteratura a cui non siamo abituati: piacevolissimo, capace di tirare in ballo questioni spinose e delicate senza perdere il buonumore. Se siamo disposti ad accettare la legge secondo cui un autore scrive e riscrive sempre la stessa storia, in quelle di Miriam Towes c’è tutto quello che state cercando.
Questo libro è per chi si pone dilemmi insormontabili ed è capace di risolverli all’ultimo con soluzioni inaspettate; per chi ha abbracciato e vuole abbracciare, in preda ad un disperato bisogno di tenerezza. E per quelli che hanno dovuto imparare, loro malgrado, a lasciar tutto, finché tutto non è andato.
Gaia Tarini
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Sono nata a Perugia nel 1989. Scrivo per la Colonna dal 2014, e nel 2011 ho fondato il blog di recensioni letterarie Le ciliegie parlano, insieme a Giorgia Fortunato.