Jenny Offill / Le cose che restano
Grace Davitt ha otto anni, e un papà e una mamma speciali. Il primo insegna all’università, e dice ai suoi studenti che gli uomini non sono stati creati da Dio ma vengono dalle scimmie; la seconda lavora in un centro per rapaci, parla molte lingue – anche sconosciute – e racconta storie meravigliose sull’Africa e sulla creazione dell’universo. L’infanzia di Grace è un satellite di emozioni, misteri e di avventure affascinanti dove i bastoncini diventano bandiere, dove vecchie cucce per cani possono essere il passaggio da un mondo all’altro, e il gioco più bello di tutti è quello di scacciare il buio cercando tenacemente di restare bambini. La vita reale avviene tutta dietro al sipario, alle spalle del cartonato di stelline oltre il quale Grace osserva il proprio sistema solare: mentre i suoi genitori iniziano ad allontanarsi cercando di sopravvivere allo sfaldamento del loro amore, lei viene trasportata in un viaggio-fuga squinternato che va dal Vermont a New Orleans, tra follie, imprevisti e magie di ogni genere. Le cose che restano sono quelle che si intravedono soltanto dietro un universo orchestrato alla perfezione, dove l’infanzia di Grace è l’occasione per coloro che la amano di sdoppiarsi e sopravvivere in un mondo parallelo. Jenny Offill sa cantare, e la sua scrittura è una lunghissima canzone struggente di bellezza e malinconia, perfino più acuminata e dilaniante – se possibile – in questo libro che nel precedente, Sembrava una felicità. Ho aspettato a lungo di rincontrarla, come si aspetta un’amica che manca da tempo, quella che sa raccontare le storie più belle e più dure, quelle che vale sempre la pena di stare a sentire. Le cose che restano (NN Editore, 2016) è un romanzo straordinario, dove il cuore del lettore stacca continuamente i piedi da terra, e allo stesso modo, continuamente, torna ad appoggiarli con la consapevolezza che tutti i per sempre prima o poi se ne vanno. Meraviglioso.
Questo libro è per chi sa riconoscere gli uccelli e tiene nel petto un cuore di passero, per chi guarda il proprio soffitto come un mappamondo o come fosse il disegno di una galassia lontana, e per chi ama forte e senza riserve. Cioè nell’unica maniera possibile.
Gaia Tarini
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Sono nata a Perugia nel 1989. Scrivo per la Colonna dal 2014, e nel 2011 ho fondato il blog di recensioni letterarie Le ciliegie parlano, insieme a Giorgia Fortunato.