Salvatore Mannuzzu / Cenere e ghiaccio
[A Mario, perché i consigli sinceri non rimangono mai inascoltati.
Questo, come sempre, è solo un mero punto di partenza].
Perché Dio, se c’è, è questo amore a perdere.
Così mormora Piero mentre osserva il fondovalle di Gioscari dal pendio scosceso dove suo fratello gemello e la compagna- che era stata prima la sua donna- si gettano, tenendosi per mano. Il vento ulula sulla valle, è notte: siamo in un libro di Salvatore Mannuzzu.
Una delle tante storie che questo scrittore , pluripremiato e indicato spesso dalla critica come la miglior voce della letteratura contemporanea sarda, ha scritto. Tutta la mia vita spesa a raccontare la stessa storia, confessa Mannuzzu in una vecchia intervista all’«Avvenire».
E’ forse una confessione anche troppo sincera. Certo, nei suoi libri cambiano personaggi, luoghi, tempi, stili di narrazione, ma una scrittura livida, che tentenna per poi graffiare amaramente, rimane lì ,sospesa, fra i suoi libri, a eterno contrassegno,come se quest’abile tessitore di parole avesse sempre lo stesso dolorante gomitolo da srotolare.
Scrittura tesa e cangiante la sua che, nella ricerca del significante più aderente al reale, si arzigogola in intrecciati periodi, si scioglie in fendenti frasi nominali.
Questa tensione, questo desiderio lancinante di descrivere, esprimere, di trovare qualcosa che sfugge nella sua immagine e nella sua essenza, proprio a un passo dall’afferrabilità e dalla comprensione, è anch’essa una piccola scheggia che riflette la poetica di questo scrittore sassarese.
Tensione, la tensione di una vita intera, si dipana nelle pagine, nei pensieri, nei piccoli racconti, nelle conferenze da lui tenute -manca infatti una forma determinata della narrazione- che Cenere e ghiaccio. Undici prove di resistenza (Edizioni dell’Asino) schiude al lettore. Questi undici piccoli scritti non si adagiano solo sul lato biografico o di memoria storica, come si potrebbe essere indotti a pensare dal sottotitolo; ogni pezzo di questo mosaico ha forma e contenuto suo proprio. Più che unità tematica, è da rintracciare in questi scritti un’unità nucleare, nel senso di nucleo; nucleo arcano e profondo che smuove, non si sa con quali invisibili fili, la penna dello scrittore.
Mannuzzu, provando a raccontare la Resistenza, porta lontano. Resistenza non solo come caparbia testardaggine verso il dolore inestirpabile dell’umana esperienza, ma , più che altro, come commovente atto di fede davanti all’oscurità del reale, davanti alle sue molteplici avversità. L’estremo inganno della tensione verso la vita che ne risulta, in ultima istanza, sempre sconfitta.
La tensione si declina nelle sue infinite forme.
La tensione verso la legge che si incarna nella quasi stoica figura di Antonio Pigliaru, giurista sassarese che accompagnato da una frase del poeta Antonio Machado («La monedita del alma, se pierde si no se da») sembra solcare Sassari elargendo, nella sua continua dialettica, insegnamenti e pensiero critico. Antonio Gramsci, tratteggiato da dietro le sbarre nella sua eroica resistenza contro malattia e fascismo, ricorda che ogni individuo è responsabile davanti alla storia e che ogni mezzo e il suo conseguente utilizzo,acquistato dall’uomo per la comprensione di essa, è un passo verso la libertà. Natalia Ginzburg che dall’ombra della suo appartamento romano svela un’umanità sempre in cerca di se stessa. Dall’infinito cielo dell’umanità si passa a quello della letteratura attraversando la tumultuosa pazzia di Don Chisciotte che proprio perché nato sconfitto, ha già vinto, fino alla figura sacra di Giobbe, paradigma e lunga ombra del dolore umano.
In tutti questi scritti aleggia questa profonda tensione ferita verso la vita che ,tuttavia, non abbandona mai, che non demorde malgrado il dolore, non chiude gli occhi davanti all’orrore della sconfitta-verso cui spesso l’esistenza traghetta.
Più di mille ombre mostrommi e nominommi a dito ch’ amor di nostra vita dipartille,direbbe chi l’inferno ha conosciuto.
Perché forse, in questo inferno di cenere e ghiaccio, l’unico nucleo possibile di queste storie di Resistenza è un amore, ovviamente, un amore a perdere.
Matteo Demartis