Marcelo Figueras / Kamchatka
«Non si può volere bene a una persona e trattarla male.»
È la primavera del ’74 quando la famiglia di Harry deve lasciare Buenos Aires per sfuggire alle persecuzioni post golpe, rifugiandosi in una casa sperduta e decadente nella periferia argentina, cambiando il proprio nome in Vicente. Intorno a quella piccola dimora con piscina dove i rospi continuano ad annegare, lontano dagli amici e dai giochi di sempre, Harry osserva la realtà con occhi di bambino; la sua fantasia è la lente dietro la quale si rifugia per giustificare quel destino incomprensibile, fatto di assurde contraddizioni e di evidenti ma ineluttabili cambiamenti. Intorno a lui le cose mutano, e ad Harry resta solo la speranza che qualche certezza resti in piedi: la bellezza di sua madre, dolce massaia disastrosa che fuma alla finestra leggendo volumi di fisica; suo fratello che improvvisa danze a suon di latte e Nesquik; oppure suo padre, che si accorcia un paio di baffi mai visti prima di fronte allo specchio, e che a breve diventerà uno dei tanti desaparecidos che la Storia si poterà via con sé. L’ultima parola che gli sentirà pronunciare Harry sarà proprio quella, Kamkatchka, come il più difficile e desolato dei territori da conquistare al Risiko, gioco che adora; una sfida metaforica e insieme commovente, la cui riuscita dipende solo dalla necessaria voglia di vivere che bisogna trovare per sopravvivere a drammi più difficili, quelli che ci insegnano a diventare adulti. Kamkatchka (L’Asino d’Oro, 2014) di Marcelo Figueras è un romanzo che si legge d’un fiato grazie ad una scrittura scorrevole e sempre misurata, quasi sempre sovrapposta ad una visione innocente e bambina, che cammina costantemente in bilico tra il desiderio che l’innocenza duri per sempre e la convinzione che tutto deve cambiare.
Consigliato a chi guarda il soffitto del bagno da una vasca e da chi ultimamente è stato per troppo tempo in apnea.
Gaia Tarini
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