Marco Tabilio / Marco Polo (La via della seta)
«Mi sono documentato parecchio. Su Marco Polo e su tutto il suo contesto. Mi premeva conoscere i dettagli della vita del suo contesto storico, politico, sociale e mentale. Date queste premesse, sapevo cosa potevo far fare ai miei personaggi e anche quali “tradimenti” avrei potuto concedermi. (Ce ne sono di tradimenti. D’altronde la scrittura sta proprio in questo)».
Commerciante, diplomatico, ambasciatore, mediatore religioso, narratore: in settant’anni di vita Marco Polo fu questo e molto altro. Girovago insaziabile e storico dell’ignoto con uno sguardo privilegiato sul mondo, lo stesso mondo che per alcuni continuava ad essere piatto e non sferico, come invece avrebbe scoperto Galileo quattro secoli dopo. Venezia fu solo il punto di partenza perché le navi lo spingessero verso una vita d’avventure: lì, sulla via del commercio, all’incrocio tra le seduzioni dell’Oriente e le sue spaventose complessità, tra donne bellissime ma anche tra spietati guerrieri; tra culture diverse e tra diverse lingue, tutte quelle che imparò per scrivere le sue memorie, i suoi resoconti di viaggio che lo guidarono dentro l’avventura più dura e difficile di tutte: quella che sta tra il sonno e la veglia, tra il miraggio e la realtà, tra la pazzia e la testimonianza dell’esistenza di un mondo che, oltre i mari conosciuti, era ancora tutto da farsi.
Con Marco Polo, La via della seta (BeccoGiallo, 2015) Marco Tabilio, classe 1987, ha ricostruito l’itinerario che ha fatto sognare tutti i bambini e i ragazzi del mondo, illustrando un fumetto dal contenuto complesso e dal disegno ricco ma evidente, dedicato a tutti i grandi che abbiano ancora la capacità di guardare e leggere i libri con occhi bambini.
[tab: «La realtà è volgare. Dire una bugia è il minimo della cortesia.»]
Tutte le storie, vere o inventate che siano, hanno bisogno di essere raccontate a qualcuno. Nel libro di Tabilio è Rustichello da Pisa, compagno di cella di Polo a Genova nel 1298, a raccogliere le memorie del commerciante viaggiatore. Lì Polo aspetta di essere riscattato dopo la disfatta della flotta veneziana a Curzola, e soprattutto di guarire dalle visioni che lo tormentano. Sono allucinazioni contaminate dal ricordo, che hanno urgenza di essere addomesticate dalla penna di chi, disinteressatamente, è pronto ad accoglierle e raccoglierle: Rustichello è l’amico improvvisato perfetto, lo scribacchino che aspetta con ansia di sfuggire da un passato di semplice cantore di gesta eroiche per diventare un biografista impegnato. La sua cura d’affetto è quella di lasciare che Marco ripercorra, come in un sogno ad occhi aperti, lo snodo cruciale di quel primo viaggio in compagnia del padre e dello zio, naviganti incaricati dal Gran Kahn d’Oriente di riportare in Cina l’olio santo di Gerusalemme e cento ambasciatori papali.
Quello di Polo è il resoconto di viaggio più affascinante e più incredibile di tutti: attraverso la Palestina, la Georgia e l’antica Persia l’itinerario che gli sgorga dalla mente e dal cuore è come una lanterna magica che proietta idoli e personaggi mitologici o leggendari. Il Tabilio disegnatore è, prima di tutto, il Tabilio bambino assetato di quelle storie, affascinato da un mondo che allora era ben lontano dall’essere noto; la restituzione che ce ne arriva tramite il disegno (ragionato, preciso) è uno sguardo che fatica a rimanere composto anche quando ci riesce, e che volentieri si abbandona al fascino e alla seduzione dell’avventura.
[tab: Pepe, cumino, curcuma e seta]
Questo Marco Polo è, finalmente, un fumetto pieno di testi. Costringe ad uno sguardo che non separa mai disegno da narrazione, meticolosamente aggrappato al doppio binario dell’immagine anche scritta. «Il silenzio dei viaggiatori, ora lo capivo: chi si mette in viaggio lascia alle spalle anche le parole» dirà Polo a Rustichello, in una delle parentesi in cui lo sguardo ci riporta al presente storico del libro. Tabilio questo non lo fa mai: non si lascia mai alle spalle il narrato che gli serve per rimanere incollato, anche quando il tratto sembra volere e dovere prendere in sopravvento, alle didascalie così precise che di fatto restano parte fondamentale della fascinazione della sua opera. La lettura diventa dolcemente forzata alla concentrazione, con squarci di respiro lì dove la meraviglia non ha bisogno di essere spiegata. Marco ricorda, e insieme il suo disegnatore, quel sogno ad occhi aperti che in fondo è successo davvero, le donne bellissime che hanno attraversato il cammino, dalla malinconia principessa mongola alla giovane veneziana promessa ad un uomo più maturo, la stessa che al suo ritorno non l’ha riconosciuto e alla quale, da ragazzo, rubò un momento di felicità nel bosco. Intorno a questo ricordo, all’illustrazione di un universo altro, ruotano gli echi delle grandi battaglie, le sagome dei guerrieri spietati che non hanno paura di mescolare insieme sangue e inchiostro per tingere un fiume di colori più spessi: la scansione degli attimi, tra flashback e prepotenti ritorni, è il nocciolo perfetto di questa cartolina medievale così finemente ricostruita, come una miniatura perfetta.
[tab:«Venezia era piena di riflessi violenti e si faceva guardare per l’ultima volta con difficoltà.» ]
Nel Marco Polo di Tabilio difficilmente i riflessi di cui parla il protagonista vengono fuori: è una scelta meno cangiante che predilige grossi blocchi di bianco e nero intervallati da un colore solo (verde acqua, azzurro, rosso). La fantasia, che è il corrispettivo della visione e del ricordo, è l’unico istante in cui finalmente la tavola si colma di sfumature, mai aggressive, sempre teneramente ragionate. Il disegno resta semplice a lungo, tanto che ingenuamente a volte rischia di essere sottovalutato; quell’aria prende in prestito lo stupore che aspetta dietro l’angolo, nelle grandi illustrazioni a tutta pagina che danno la dimensione della vastità del racconto e dei luoghi al suo interno contenuti. Tabilio è insieme amanuense e generatore di schizzi; la visione d’insieme oscilla sempre tra l’accuratezza e l’urgenza di utilizzare il segno nelle sue linee più immediate per tenere il ritmo della storia, dentro le vignette e nelle ricche didascalie.
La falsa approssimazione ricalca invece, a tratti, una visione ragionata del mondo antico che evoca: le figure quasi stilizzate chiamano con sé il ricordo delle vecchie mappe o delle illustrazioni che pescano direttamente da quell’atmosfera alla Bosch, ricca di figure e di intersezioni tra animali e uomini. Nella traduzione del polso c’è molto dell’osservazione di Tabilio di quella documentazione fittissima e ricca anche piena di pericoli. Viene da pensare che in definitiva quest’esperienza di legittimo tradimento tanto della storia quanto della pagina abbia come risultato la proiezione di un mondo magico che svicola dalla tradizione per confondersi con lo sguardo personale di chi ne ha saputo ripensare il linguaggio.
Consigliato a chi tiene il suo piccolo mondo in valigia, e allo stesso tempo non ha mai paura di lasciare che gli oggetti esondino perché possano condurre lontano.
Gaia Tarini
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