Michele Monina / Atene è un sogno
«A melhor maneira de viajar è sentir ». Così scriveva Fernando Pessoa, che fra la letteratura -con la sua eteronomia e l’eterno spettacolo di sé stesso- e la vita tanto aveva sentito e tanto aveva viaggiato. Forse anche Bernardo Soares, uno dei suoi tanti personaggi, dal sempre uguale quarto piano di Rua dos Douradores, dalla finestra da dove osservava il mondo, dove spiava la vita, nella sua livida inquietudine, fra i paralleli del cuore e i meridiani dell’iride , anche lui forse, seppure immobile, aveva viaggiato.
Michele Monina scrittore, giornalista e autore televisivo ha girato, viaggiato e recensito per conto di Laurana Editore ben dodici capitali europee in altrettanti libri, e la nota a prefazione del primo avverte trattarsi di «un viaggio straordinario, una maratona di scrittura senza precedenti». Illuminante questa frase soprattutto dopo la lettura del libro qui recensito, dopo la quale -evaporato anche il tono pubblicitario e patinato dei soliti retro di copertina- rivela la sua diafana vacuità.
Atene è un sogno, Michele Monina, Laurana Editore è il primo titolo della fortunata collana Europe e di quest’ultima inizio e simbolo. Il progetto editoriale della collana nonché della guida in questione (che vuole essere anche un reportage) risulta, anche a un occhio distratto, fallimentare. La fruibilità e la funzionalità mancano completamente. Tranne una sbiadita cartina in copertina, oscurata dal Partenone messo in bella mostra, non sono presenti né mappe né immagini qualsiasi utili per orientarsi. Il progetto grafico, insensibile alla più elementare necessità del viaggiatore, si alterna con aspetti tipografici ciechi ad ogni criterio di facile consultazione: se si tralascia il corsivo per differenziare il reportage dalla guida, non ci sono altre distinzioni. Nessun colore, né grassetto, né frecce, né riquadri che possano agevolare la lettura, se non una divisione in capitoli con l’opinabile scelta di raggruppare le informazioni sotto le varie parti anatomiche (occhi per i monumenti, stomaco per la cucina et cetera). Per quanto riguarda la forma della guida che, ignorando le pluridecennali lezioni del Touring club e delle guide Michelin, rivoluziona ogni concezione grafica del libro da viaggio, si è detto; rimane ora il contenuto.
Troppo vaghe le descrizioni dei monumenti fino all’inutilità, troppo generali anche i percorsi proposti; sopravvivono invece la parte dello shopping e della movida che declamano la statura di guida cui Atene è un sogno vuole assurgere. L’autore si accende e si infiamma solo per l’argomento che si riconosce, finalmente, essergli familiare: la musica. L’inconsistenza e -almeno dal punto di vista grafico- l’illogicità della guida sarebbero, almeno in parte, ignorabili se venissero affiancate da un vibrante, sanguigno e dettagliato reportage. Purtroppo anche questo manca il bersaglio: fiacco, cosparso di luoghi comuni mentre, fatta eccezione per qualche simpatica nota personale, anche l’ironia sfocia spesso nell’humour isterico degli animatori da campeggio. «Dire Grecia e dire cultura è praticamente la stessa cosa» o , alla fine di quello che, almeno nella mente dell’autore, voleva essere un excursus antropologico sui greci, la frase «gli ateniesi, e i greci in genere, sono il popolo giusto nel posto giusto» sono proposizioni enunciative che non necessitano di commenti.
La «maratona di scrittura» corre tanto veloce da non lasciare traccia (e in una maratona, si sa, non bisogna correre). E’ assente, almeno nel libro, ogni tipo di ricerca umana, ogni tipo di approfondimento. Manca un punto di vista o una cifra culturale -artistica,storica o letteraria- sotto la cui lente osservare Atene. Non che questi aspetti non vengano toccati, forse appena sfiorati: nota distintiva di questa «guida» non è l’assenza ma il proliferare di nozioni sparse, inserite senza criterio, in un affastellamento scomposto che disorienta anziché fornire un qualsiasi tipo di conoscenza.
La corsa di Michele Monina non parla di Atene, di cui lascia un’idea vaga e insapore, come di una città che non ha vissuto e che non può in nessun modo far rivivere al lettore; ma in compenso parla di noi, del nostro tempo, delle nostre corse.
Forse infatti è così che va letta: la guida è solo una deviazione del fortunato percorso di un critico e biografo musicale, gettatosi nell’equivoco dei tempi liquidi (come direbbe Zygmunt Bauman) dove tutto scorre senza lasciare traccia. Il tempo è denaro e non si può perdere tempo, perciò dodici città in un anno e dodici conseguenti guide nell’orologio rotto e fuori tempo della modernità, dove non c’è più tempo di innamorarsi di qualcosa perché quel qualcosa domani non c’è più. Il tempo di ricercare è scrupolo da babbei, da noiosi: la vita è adesso, life is now.
I greci (toh) pensavano il tempo come circolare? I moderni l’hanno appiattito nel tempo lineare e progressivo, i contemporanei l’hanno segmentato nel tempo puntillistico di cui parla Bauman, dove la vita è solo un insieme di momenti e il percorso non conta. In questo tempo frammentato, polverizzato, diviso in razioni così «logiche» si sta perdendo anche il tempo del viaggio che, come spiega un poeta, è il tempo del sentire.
Non consigliato a chi ha, o vuole, il tempo di guardare fuori dalla propria finestra.
Matteo Demartis