Richard McGuire / Qui
«Ho trovato così tanto materiale che le persone cominciavano a suggerirmi di prendere appunti. Ma io sapevo benissimo che questo non sarebbe stato quel tipo di libro. Avevo un motto: rendi trascurabili gli avvenimenti importanti, trasforma in grandi quelli piccoli. Volevo che parlasse di memorie non documentate, di tutto ciò che tendiamo a dimenticare».
Richard McGuire, The New York Times
Il fumetto più elegante che leggerete quest’anno non sembra neanche un fumetto: lo ha pubblicato Rizzoli Lizard (versione originale Pantheon Books 2014) e lo ha disegnato Richard McGuire. Parte di quello che ci troverete dentro è uscito sulla rivista statunitense Raw nel 1989; un’altra comparsata, più completa, è del recente 2009. Ma solo oggi, finalmente, quest’opera straordinaria ci viene restituita colorata, rivista e ampliata in tutto il suo peso specifico. Sfoggio di minimalismo e modernità, quest’ultimo lavoro di McGuire sa fondere con naturalezza due temi a me carissimi: il tempo e le case.
Si chiama Qui.
[tab: Questa è la stanza]
Ci sono due modi per leggere Qui. Il primo, quello veloce, che tiene conto dei rarissimi dialoghi al suo interno: ed ecco che questo fumetto imponente – per dimensione e contenuto – scivola via come una lanterna magica. Dentro c’è una serie di immagini che partono tutte da un punto comune: la stanza di una casa, sempre la stessa, attraverso i suoi cambiamenti spazio temporali. È così che si intuisce che c’è un secondo stratagemma per «leggere» Qui: dare spazio e tempo al tempo, quello che trascorre tra una pagina all’altra. Ma se il progetto già così appare ambizioso, aspettate di capire cos’ha fatto di insolito Richard McGuire: costruire un’idea di tempo che oscilla tra passato, presente e futuro attraverso la rappresentazione di piccoli riquadri all’interno di una stessa immagine. Così, mentre quello stesso camino e quelle stesse pareti restano uguali al di fuori (o al di dentro), a cambiare è quella piccola immancabile finestra che si apre davanti agli occhi del lettore, che viene invitato ad assistere al miracolo del cambiamento, al trascorrere degli anni che si avvicendano e si avvicinano progressivamente tra loro, in una strana e insolita atmosfera di contemporaneità.
Il salotto di Qui è una specie di palcoscenico, un osservatorio insolito e di stampo teatrale. McGuire diventa ancora più ambizioso quando ammette più di una finestra all’interno di quella stessa unica stanza, in cui il tempo oscilla tra periodi molto lontani l’uno dall’altro: il 1911, il 1993, il 2017, il 1956. Se non fosse già abbastanza, il salto definitivo lo compie nel tentativo di avvicinare momenti ancora più distanti, la preistoria o il 1700, con una naturalezza che a volte fa venire i brividi. Non un fumetto, non una graphic novel, non un semplice libro di illustrazioni: Qui è un oggetto ibrido che si presta a molte interpretazioni e a molte letture, un concetto e un risultato abbastanza paradossali se si tiene conto, come accennavo, al fatto che sono rari i dialoghi al suo interno. Eppure, nella sua complessità stilistica, c’è una profonda semplicità che invade questa raccolta di disegni, e un’aspirazione particolare: quella di rendere tridimensionale il sogno della memoria, quello di non lasciare che ci si dimentichi del tempo che passa, coi suoi cambiamenti talvolta amari e talvolta meravigliosi. Qui è innanzitutto un tentativo di celebrare il ricordo, uno in particolare: quello delle case cui sono affidati, volontariamente o meno, i destini delle persone che le abitano. È come se gli echi del passato avessero, in questo libro, la possibilità di farsi più imponenti, di raccontare una storia. L’autore gioca con questi elementi sparpagliando le carte sul tavolo: una volta messi insieme i tasselli del puzzle, suo è il compito (e il divertimento) di confonderli e sovrapporli, giocando con la cronologia e tentando di dimostrare come tutto sia immancabilmente vicino e lontano sempre allo stesso tempo e allo stesso modo. In questo senso Qui diventa un sogno, quello di poter credere che niente ha mai una vera fine, né un preciso punto d’inizio.
[tab: Giro di vite]
Non solo l’ambiente è fondamentale, per McGuire, in questa sfida al tempo e allo spazio. Un ruolo decisivo è affidato alle persone. Esattamente come succede ai mobili, anche i protagonisti delle vignette cambiano all’interno delle illustrazioni che compongono Qui: sono uomini e donne, giovani, anziani, amici, amanti, padri, figli, bambini, animali e a volte perfino piante. Che senso avrebbe un palcoscenico senza gli attori pronti a dargli vita? L’intervento umano, in Qui, è uno degli elementi senz’altro più commoventi: in quest’altalena cronologica, in questo essere e non esserci più nello spazio di una, due, venti, quaranta pagine, si avverte chiaramente il giro di vite che popola questa raccolta, un intervento necessario che è anche lo stesso che strappa il cuore. Mentre la carta da parati viene incollata e scollata dalle pareti, una ragazza cerca un orecchino perduto, un padre abbraccia il suo bambino, due amici ridono al racconto di una barzelletta stupida. A volte ci sono persone che danzano, che dormono, che fanno l’amore: in modo diverso e uguale, così simile anche a distanza di secoli. Ecco dove troverete le viscere di questo libro: nel racconto di queste vite che il loro autore ha saputo, in un certo senso, rendere immortali.
Le tavole più belle di Qui sono quelle in cui insiste il concetto che niente è mai veramente vicino o lontano: una ragazza che dorme distesa vestita alla moda anni Settanta non è diversa da un bufalo che riposa lì, vicino a lei, tredici milioni di anni prima. La finestra che apre McGuire parte dalla lunga distanza, cancella, per un attimo, un pezzo di quella stanza; solo apparentemente la sacrifica, in verità ciò che sta facendo è a tutti gli effetti nobilitare tanto il passato quanto il presente, avvicinare due posti e due esseri viventi all’apparenza diametralmente opposti, per dimostrare come un luogo avvicini memorie diverse nella loro semplice universalità, nella loro inconsapevole coesistenza. E se è vero che un posto tiene conto di tutti coloro che lo hanno abitato, allora Qui è riuscito a fare tesoro di quest’insegnamento: il tempo, al suo interno, non è mai effettivamente trascorso e le persone che lo hanno abitato sono diventate, di fatto, immortali.
[tab: Ordine e passione]
McGuire usa i colori più come un grafico che come un fumettista. D’impatto il suo è un libro abbastanza «piatto», dove le illustrazioni risultano quasi stilizzate e geometriche. Per gran parte dell’opera la stanza, che è la principale protagonista in Qui, risulta delineata nei suoi aspetti più comuni: poche righe tracciate per i mobili che via via la arredano; non vediamo direttamente il cambio dei divani o delle tende, ma lo percepiamo da una pagina all’altra. In quest’esercizio, difficilmente il segno di McGuire diventa disordinato: la sua è più un’esposizione che dice ecco, ecco come cambiano le cose nel corso degli anni. Dentro c’è, ancora una volta, il tempo che passa, le sue storie. Le stesse storie che, allora, hanno un trattamento stilistico molto diverso: la penna sfugge al controllo dell’ordine, diventa un tramite per accarezzare con più personalità le persone al suo interno. Sono loro le figure su cui l’autore di Qui si diverte di più a usare la mano per celebrare il disegno, le figure e alcune tavole mozzafiato in cui esplode definitivamente il suo stile, che dà una reale prova della sua complessità. Per chiunque sfoglierà questo libro sarà difficile dimenticare i boschi o le lagune dove intervengono silenziosamente, con rarefazione, quelle parentesi quadre in cui riappaiono i personaggi. Tutto esiste nel momento in cui è esistito, ma ciò che è meraviglioso è che si ha la sensazione che questo accada anche nel momento in cui quel tutto, quel qualcosa, non esisteva ancora.
L’intelligenza di McGuire è questa: avvicinare, più di tutto attraverso il disegno, vite e luoghi assolutamente distanti tra loro. I suoi colori sono allo stesso tempo controllati ed entusiasti, sono sentimentali ma anche razionali, sono asciutti e sbavati. La grande ricchezza di quest’opera è nella sua capacità di misurarsi e di tirare fuori passione, anche lì dove si cerca solo di esporre un fatto limpido, empirico. Il suo segno, i suoi colori, possono oscillare tra l’analitico e il passionale; a volte si fanno piatti, altre volte sembrano gli esperimenti a tempera o a cera di un bambino. Lasciate andare lo sguardo su queste meravigliose tavole e troverete la misura e la passione dell’artista, avvertirete esattamente, ad un certo punto, la sua volontà di restare lucido e, al tempo stesso, di lasciarsi andare.
Qui è un libro che difficilmente vi abbandonerà.
Consigliato a tutti quelli che quest’anno compreranno una casa o ne abiteranno una nuova.
Gaia Tarini
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