Sibylle Lewitscharoff / Blumenberg
Blumenberg è uno stimato e attempato docente di filosofia tedesco, a cui un giorno, del tutto inspiegabilmente, appare un leone. Simbolo o semplice allucinazione, la bestia diventa presto il fulcro del romanzo, soprattutto perché è invisibile a tutti tranne che al protagonista del libro. Mentre da un lato egli è costretto ad una continua ricerca del significato, a latere volteggia una serie di personaggi leggiadri che hanno il delicato compito di bilanciare, con la loro spontaneità, l’originale situazione del professore e del suo miraggio sempre in procinto di essere compreso.
Non ho mai letto un libro come Blumenberg (Del Vecchio Editore, 2013): un romanzo, cioè, capace di farsi prima complesso e impenetrabile, e un attimo dopo del tutto accessibile o scorrevole. La sua autrice, Sibylle Lewitscharoff, ha confezionato un libro diverso dal solito, tanto inusuale da non avermi convinto né in un senso né in un altro: le riconosco il talento di una scrittura – sempre padroneggiata e versatile, adattabile, guizzante – che in questo romanzo «serpentesco» assume mille forme, si fa semplice e insondabile, confusionaria e ordinata, razionalissima e piena di estro. Ma ho un problema di fondo con una grossa parte del libro in cui il ragionamento (con assoluta coscienza) si fa confusionario e porta al disorientamento. Mi piacerebbe parlarne con qualcuno che l’ha letto per capire cos’è veramente Blumenberg e se mi è piaciuto, mentre come un sassolino nella scarpa mi resta dentro, in una parte irrintracciabile del mio spirito di lettrice.
Consigliato ai razionali e ai creativi.
Gaia Tarini
(leggetela anche su Le ciliegie parlano)