Toni Alfano / Pompei
«Mi occupo prevalentemente di mezzi espressivi quali arti visive e musica, lavoro in un centro per le terapie non farmacologiche con diverse utenze (alzheimer, terminalità, stati vegetativi). Da sempre uso questi strumenti su di me, essendo fermamente convinto che l’arte non è culto del proprio ego ma mezzo di cura, momento di reale manifestazione della meraviglia umana».
Toni Alfano per Mondoscrittura
Non avevo mai letto un fumetto come quello di Toni Alfano: si chiama Pompei ed è uscito questo settembre per NEO.Edizioni, officina di carta nata nel cuore degli Appennini Abruzzesi sei anni fa.
Perché il titolo non inganni, l’autore mette subito in chiaro quel che Pompei non è: non la «rievocazione di un fatto del passato, ma il racconto dei nostri giorni, dei nostri drammi individuali e sociali, attraverso quel simbolo». Estremamente simbolista infatti, quest’opera insolita traccia una linea di confine tra il vecchio e il nuovo, mostrando le tante, nuovissime strade che il fumetto ha ancora davanti a sé. Un esperimento anche espressionista, che parla attraverso una visione inedita e personale di quello che siamo stati, del nostro presente e di quello che forse ci aspetta: Pompei è al tempo stesso un modo per riflettere (sul)l’incubo ma anche un modo per fuggirvi, attraverso quella meravigliosa finestra spalancata che rappresenta ancora il linguaggio figurativo.
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[tab: 1. Estati ai confini del mondo]
«Mi ricordo di un’estate ai confini del mondo dove incontrai tutti i miei limiti e l’inconsistenza delle mie idee».
Diviso in cinque capitoli, Pompei si serve di strumenti differenti per passare attraverso la cruna di una visione unica, slabbrata. Al suo interno campeggia un mondo di diavoli e di santi, di fantasmi ma anche e soprattutto di uomini: Pompei è una Babilonia post moderna di vite e di pensieri, dal nichilismo al misticismo, con rimandi tanto alle culture orientali tanto a quelle – ormai contaminate – del mondo occidentale. Al centro di queste ‘visioni’, è sempre una voce narrante che chiama a sé il lettore, trasportandolo in un universo allegorico che ha il potere di sovreccitarlo da un lato, e di obbligarlo in seguito, dall’altro, a disfarsi dei miti della modernità e della ragione.
Ecco cos’è quindi il Pompei di Alfano: un’icona, una metafora del passato che torna prepotentemente a parlare del presente, a far udire insistentemente la sua voce. In quest’esercizio difficilissimo – reso ancora più complesso dal linguaggio scelto dal suo autore – si avvertono i miraggi e le fascinazioni di un mondo altro, il territorio della pazzia che si interroga con e sulla lucidità, senza mai propendere per l’una o per l’altra. I suoi abitanti sono umani ed animali, icone del progresso o figure promiscue della mitologia, che convivono con armonia sorprendente nelle pagine di questo fumetto insolito.
In quest’atmosfera destabilizzante ma carica in un certo senso anche di speranza, emerge il talento di Toni Alfano nel saper dosare tanto gli stili quanto le parole, nello svelare al suo lettore le macerie ma anche i numerosi, insospettabili strumenti per un’auspicabile ricostruzione del sé e del mondo, a partire da quell’alienazione totalizzante dell’anti-società in cui viviamo.
(continua)
[tab: 2. Quatre couleurs]
Dalle tavole approssimative a quelle curate con una certa maniacalità, dagli schizzi tipici di un qualsiasi quaderno di appunti alla riflessione accademica delle ombre e delle luci, i capitoli di Pompei esplorano diversi territori e stili del fumetto, in cui campeggiano sempre e comunque solo quattro colori: bianco, rosso, grigio e nero. Toni Alfano, che di professione fa il pittore, dimostra di saper ammaestrare le tinte che popolano le sue scene, quelle della linearità ma anche della speranza, sfumature complementari il cui compito è quello di sapersi fare mobili, sensoriali: il maiale sgozzato a testa in giù in Molok. La sorgente, in una tavola semplicissima realizzata in bianco e nero, lascia andare dal proprio corpo uno schizzo di sangue che sa farsi materiale nel momento stesso in cui l’occhio, catturato per natura dal colore rosso, ne coglie la cruda semplicità. In questo fumetto seducente, davvero complesso nel suo genere, è insolito notare quanto la scrittura non sia mai casuale: Alfano non si accontenta dell’espressività già squillante delle sue immagini, ma affianca alle tavole un’organizzazione del testo profonda e strutturata, senza la quale questo fumetto cesserebbe di avere il profondo senso che ha. Al tempo stesso, dimostra di aver colto appieno la lezione dell’ermetismo, nelle illustrazioni in cui molto dev’essere affidato al tratto, in quei disegni in cui le parole devono farsi rarefatte ed essenziali.
Mi piace pensare che il fumetto oggi possa rappresentare non solo un esercizio di svago, ma anche un mezzo potente, anche quando feroce, per analizzare la realtà che ci circonda; per affrontarla, frequentarla, capirla e al suo interno trovare un modo che cambi la nostra visione delle cose. Credo che Pompei si avvicini molto a tutto questo, aprendo la strada (spero!) a molti altri fumetti che dopo di lui avranno ancora la voglia e il coraggio di raccontarci che forse non tutto è perduto.
Consigliato ai visionari di ieri, di oggi e di domani.
E grazie a Toni Alfano per la sua disponibilità
e per avermi inviato le sue tavole per scrivere quest’articolo.
Gaia Tarini