Elena Stancanelli / La femmina nuda
La femmina nuda è il diario di un’ossessione: quella di Anna, che dopo cinque anni di relazione ha la conferma definitiva del tradimento del suo compagno, Davide. Un uomo per cui “ti amo non vuol dire un cazzo”, che nei precedenti anni di rapporto – e a maggior ragione negli ultimi tempi – non ha rinunciato ad avere storie di sesso parallele, innescando una catena di bugie e negazioni. Allo stesso tempo né l’una né l’altro riescono ad allontanarsi davvero; gli strascichi involontari che portano Anna e Davide a continuare ad incontrarsi e ad accoppiarsi sono gli stessi che minacciano, ogni volta, di consegnarli alla follia. Fino alla comparsa di Cane, una donna che sembra aver davvero fatto breccia nel cuore dell’ex fidanzato di Anna. Lei, con tutto il doloroso e irrispettoso universo dei social network ad aiutarla, si cala nell’incubo morboso della ricerca, del confronto, dello spionaggio casalingo. Dimagrisce dieci chili, si apposta, fa scenate, tenta di fare sesso con altri uomini, smette di masturbarsi, si annulla. E mentre attraversa il cerchio di fuoco che è per tutti, come sempre, la fine di una storia, racconta le sue peripezie a Valentina, l’amica che fa da spettatrice al suo massacro e che non ha neanche per un attimo la capacità di fermarla.
C’è solo una frase che mi ha davvero convinto, in tutto il romanzo, ed è questa: L’unica cosa che ti serve in quel momento è qualcuno come te. Qualcuno che ti sieda davanti, sera dopo sera, e ti guardi piangere senza darti nessun consiglio. Elena Stancanelli mette in scena il percorso impervio dell’arte della dimenticanza, senza rinunciare a nessuno degli strumenti narrativi per farlo. Eppure ho come l’impressione che questa sua femmina nuda esageri, esca spesso dai confini consentiti; consentiti al lettore per sentirla vicina, consentiti perfino al suo stesso personaggio perché risulti convincente. Era la prima volta che leggevo un suo romanzo, ma questa scrittura non mi è sembrata affatto sensazionale, neanche quando cerca (ostentatamente) di diventare sfacciata, o di stare sopra le righe. Da questa Femmina nuda (La nave di Teseo, 2016) non ho trovato quello che cerco da un libro, specie se rifletto sulla sua candidatura al Premio Strega di quest’anno. In ultima battuta fa oltremodo sconcerto la povertà dell’edizione, nonostante l’esperienza di Elisabetta Sgarbi con Bompiani: una copertina quantomai imbarazzante, com’è a tratti l’esposizione della dissolvenza di Anna in quel suo mondo di tradimenti e vendette.
Questo libro è per chi costruisce bambole vodoo del proprio ex fidanzato senza il coraggio di trafiggerle e per chi è arrivato in fondo e sa che oltre il fondo c’è ancora margine di caduta.
Gaia Tarini
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Sono nata a Perugia nel 1989. Scrivo per la Colonna dal 2014, e nel 2011 ho fondato il blog di recensioni letterarie Le ciliegie parlano, insieme a Giorgia Fortunato.21