José Eduardo Agualusa / Il venditore di passati
Un nome può essere una condanna. Alcuni trascinano un nominato, come le acque melmose di un fiume dopo i grandi temporali, e, per quanto questi resista, gli impongono un destino. Altri, al contrario, sono come maschere: nascondono, illudono. La maggior parte, evidentemente, non ha alcun potere. Ricordo senza piacere, senza neanche dolore, il mio nome umano. Non ne sento la mancanza. Non ero io.
Félix Ventura fa il venditore di passati in una bottega dell’Africa Centrale. Come una specie di investigatore al contrario, assicura a chiunque abbia voglia di dimenticare un’identità scomoda o abbia bisogno di natali altisonanti, un trascorso pieno di genealogie bizzarre e fantasiose. I guai cominciano quando al suo laboratorio approda uno strano personaggio che ha così disperatamente bisogno di ricostruire la propria storia, da credere senza riserve a quella che gli ha venduto ingenuamente Félix. Il gioco dell’immedesimazione galoppa senza pietà, trascinando dentro personaggi e storie meravigliose; l’osservatorio narrativo è affidato ad una voce inusuale e potentissima, con cui José Eduardo Agualusa sorprende costantemente il lettore. Il venditore di passati (La Nuova Frontiera, 2004) parla del nostro impellente bisogno di capire chi siamo e di reinventarci un’identità che ci spinga a trovare un senso nel nostro costante cercare: libro dai mille volti, di una semplicità squisita – ma baciato da una scrittura mossa e profonda – questo romanzo fulmineo è tanto un’ode all’amore quanto un teatro pieno di colpi di scena, trovate, pozzanghere sentimentali e derive surreali e preziose.
Consigliato a chi ha perso la memoria e ha bisogno di essere trascinato di colpo fuori dal sogno.
Gaia Tarini
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